lunedì 11 aprile 2011

Poetry di Lee Chang-dong


"Nelle settimane precedenti, guardando il trailer al cinema di Poetry, il film del coreano Lee Chang-dong (l'autore di Oasis e Secret Sunshine), la sensazione era quella di dover guardare un film di due ore forse bello e forse poetico, ma vuoto di accadimenti. E per questo motivo, nella sostanza, noioso. Chissà perché un tipo di linguaggio, una sintassi cinematografica alla quale non siamo allenati con costanza, ci spinge a immaginare una possibile noia, che non ha nulla a che vedere con la bellezza di un'opera: ci si può annoiare e allo stesso tempo apprezzare, capire e amare.
Poetry si apre su dei bambini che giocano accanto al fiume e vedono passare lento il corpo di una ragazza (si è suicidata, si scoprirà poco dopo). Poi, una donna di sessantasei anni ma ancora piacente ed elegante, la signora Mija (la protagonista del film), è in ospedale per parlare di un formicolio al braccio, ma intanto non riesce a ricordare una parola semplice come «corrente». Il medico le dice che è più preoccupato di queste piccole amnesie che del formicolio. All'uscita, la signora Mija assiste alla disperazione inconsolabile della madre della ragazza suicida. Poi va a iscriversi a un corso di poesia, a cui tiene tanto. Infine torna a casa e lì c'è suo nipote, che vive con lei, mezzo addormentato sul letto. Tra non molto le toccherà di scoprire che suo nipote e altri cinque amici hanno violentato per mesi quella ragazza, ed è per questo motivo che lei si è buttata giù da un ponte.
Succederanno ancora molte altre cose, oltre al fatto che la signora Mija scoprirà di avere i primi sintomi dell'Alzheimer, ma la cosa stupefacente nel film di Lee Chang-dong è che, grazie all'andamento, alla semplicità del racconto, alla minimizzazione dei fatti senza mai nasconderli, sembra che durante le due ore e un quarto del film accada davvero quel poco che si era immaginato. E invece a ripercorrere la storia con il desiderio di analizzarla, non solo gli eventi, ma i personaggi (e le loro vicende) sono tanti, abbondanti. E tutti vivi. È la regia che sceglie questa sorta di sordina elegantissima, capace di far venire fuori la vita di una donna e di una cittadina di provincia lentamente, ma con una evidenza ineluttabile. Una sorta di sguardo pulito, senza sottolineature, senza tappeti musicali che avvertono che sta per succedere qualcosa; uno sguardo che si sposa con quello della protagonista, che sta dentro le cose e le vive come ineluttabili ma allo stesso tempo non si rassegna ad accettarle così come sono, e tutto il film è una lunga indagine per cercare di capire il senso di ciò che è accaduto, così vicino.
Ma qual è la questione davanti alla quale si trova la signora Mija? Il maestro di poesia fa la sua lezione inaugurale parlando di come è necessario vedere le cose intorno. È lì che c'è la poesia, dice. Mostra una mela: voi credete di averla vista migliaia, milioni di volte, invece non l'avete vista mai per davvero. Osservatela; osservate il mondo con attenzione e cura: questo è il modo per scrivere poesie, arrivare fin dentro l'anima delle cose che sono intorno e che di solito non si guardano più. E poi il maestro annuncia a tutti che scopo del corso sarà che ognuno alla fine dovrà consegnare una poesia. La signora Mija ha molta voglia di osservare il mondo intorno, gira con un taccuino e osserva un albero, un fiore. Osserva a lungo ogni cosa. Ma la vita la tira da un'altra parte: visto che il maestro le ha chiesto di guardarsi intorno, ci sono certo le mele e gli alberi, ma c'è soprattutto suo nipote che guarda indifferente la tv mentre mangia, come se non fosse accaduto nulla; lui e i suoi amici continuano a vivere la vita di sempre, perché sanno che i genitori stanno risolvendo la questione. Ci sono, appunto, i genitori degli altri ragazzi che vogliono mettere a tacere tutto pagando una cifra considerevole, che la donna non possiede. Ma quei genitori sono come i loro figli e come suo nipote: mirano a risolvere la questione, per superarla e dimenticarla. Mirano a non guardare le cose intorno.
«È difficile scrivere poesie», dice Mija al maestro, «mi aiuti a trovare il modo per farlo». Ma intanto va al fiume, cerca la madre della ragazza, è l'unica che non mira a dimenticare. E infatti, al corso, alla fine, sarà l'unica che nonostante gli eventi si mettano male, porterà la poesia. Gli altri suoi compagni di corso non risponderanno nemmeno alla sollecitazione del maestro, rideranno imbarazzati. Così, l'unica poesia che rimarrà è quella di Mija, e non sarà né sui fiori né sugli alberi o chissà cos'altro, ma su quella ragazza sulla quale ha indagato, che ha imparato ad amare in questa ricerca della verità. Ed è una poesia piena di domande, un po' disperata e un po' rasserenante.
In questo mondo di aspiranti poeti, Mija ha anche incontrato un funzionario di polizia che dice un sacco di cose spiritose e volgari. Sta simpatico a tutti, ma a lei no, perché sostiene che così maltratta la poesia, non la rispetta, non la fa venire fuori. Ma quando alla fine, nonostante i tentativi di corruzione, i ragazzi verranno arrestati, l'umanità del funzionario di polizia nel mitigare il dolore della donna, è tutto ciò che le rimane." (da Francesco Piccolo, Il dolore in sordina, "Il Soel 24 Ore Domenica", 10/04/'11)

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