sabato 30 aprile 2011

La finzione vi condurrà all'azione


"Contrariamente a quanto si crede, i commenti e gli studi che I Miserabili meritarono al loro apparire non furono tutti entusiastici; ci furono molte critiche avverse e alcune come quella di Barbey D'Aurevilly, feroci. La più interessante di queste critiche, per i temi che tocca e perché, partendo dal romanzo di Victor Hugo, si lancia in considerazioni audaci sulla finzione in generale, è quella di Alphonse de Lamartine, un lungo studio che, forse senza volere, affronta in modo diretto la ragion d'essere della finzione nella storia dell'umanità.
All'inizio del suo saggio, le obiezioni di Lamartine al romanzo sono quelle di un conservatore che vede ne I Miserabili un testo capace di incoraggiare il disordine e la rivolta sociale, e quelle di un sostenitore del realismo letterario irritato dalle esagerazioni e inesattezze del libro rispetto alla realtà che ha la pretesa di ricreare. Il romanzo, secondo Lamartine, è un'utopia venuta a prolungare la tradizione de La Repubblica di Platone, del Contratto Sociale di Rousseau e di tutti i socialisti, da Saint-Simon fino a Fourier, a Proudhon e ... ai mormoni!
Tra evocazioni autobiografiche, Lamartine ricorda che, durante la Rivoluzione del 1848, Victor Hugo aveva pubblicato un manifesto "conservatore" che gli era sembrato molto sensato. Attacca "demagoghi e utopisti" e afferma che I Miserabili portano a termine «una critica eccessiva, radicale e a volte ingiusta della società, cosa che può indurre l'essere umano a odiare ciò che lo salva, l'ordine sociale, e a delirare per quello che è la sua perdizione: il sogno asociale dell'ideale indefinito». La indefinitezza ideologica gli sembra l'aspetto più negativo dell'utopismo del romanzo.
Il titolo, assicura, è falso, perché i suoi personaggi non sono miserabili, bensì colpevoli e pigri. Nel romanzo quasi nessuno è innocente, poiché nessuno lavora. Si tratta di una società di ladri, dissoluti, fannulloni, donne di vita e vagabondi. Neppure quando agiscono, i personaggi hanno chiare le motivazioni che ispirano la loro condotta. Per esempio, se si domandasse a Marius perché sta sulla barricata, non saprebbe che cosa rispondere: «Par ennui», forse (per noia) ma non «per opinione».
Il romanzo è una «epopea della marmaglia», «un'opera maestra della impossibilità». A partire da qui, le critiche di Lamartine, senza smettere di essere politiche e letterarie, continuano a estendersi a piani religiosi e filosofici, e, superando il tema esclusivo del romanzo di Victor Hugo, entrano nel cuore delle relazioni tra la finzione e la storia, e del modo in cui la prima ha influenza sulla vita e sulla società. I Miserabili farà molto danno al popolo «ispirandogli il disgusto di essere popolo, cioè uomo e non Dio». (...)
In sintesi, per Lamartine I Miserabili è una storia drammatica, esagerata, truculenta, piena di "chimere" sociali e politiche, un romanzo che non sopravvivrebbe se non fosse per l'enorme talento verbale e la forza lirica di Hugo, capaci di dare un aspetto verosimile a quelle "irrealtà". Da queste premesse, Lamartine conclude che questo romanzo è «pericoloso» per il popolo per il suo «eccesso di ideale». Lamartine, nel suo corposo saggio, crede di lanciare i suoi dardi contro un bersaglio preciso: quella prodigiosa costruzione romanzesca che, grazie all'eccellente talento del suo autore, è capace di far credere ai lettori che un essere umano può raggiungere la smisurata altezza morale e la capacità di sacrificio di un Jean Valjean o la bontà serafica di un monsignor Bienvenu, quelle "irrealtà" romantiche.
Ma in realtà il suo argomento vale per ogni finzione riuscita, anche per quella che, senza il volo e l'apertura alare de I Miserabili, in quanto di orizzonte minore, è capace, grazie al proprio potere di persuasione, di trasportare il lettore in un mondo più coerente, più bello, più perfetto, o semplicemente meno noioso e penoso di quello in cui vive. Quell'operazione, secondo Lamartine, può convertire l'affascinato lettore di finzioni – una volta che la lettura finisce, l'incantesimo si rompe e comprova che la realtà abitata non sarà mai all'altezza di quella sognata – in uno "squilibrato", in un ribelle furioso, in un nemico dell'ordine stabilito.
Benché sia difficile dar ragione a Lamartine in molti dei suoi giudizi su I Miserabili, perché è evidente che molti di quei giudizi sono ingiusti o esagerati, è anche necessario segnalare che nel suo studio del romanzo di Victor Hugo c'è un'intuizione molto precisa della natura della finzione letteraria e del modo in cui si ripercuote sulla vita dei lettori e, pertanto, nell'avanzamento della società. Egli concentra i suoi rimproveri su I Miserabili, nei quali avverte un pericolo che non vede in altre opere per la semplice ragione che queste non hanno la smisurata ambizione con cui è stata scritta l'opera di Victor Hugo, un romanzo che per le sue dimensioni sembra competere con la realtà da pari a pari, opponendo alla vita una finzione "totale".
Certo è che, anche se in scala minore, tutte le finzioni fanno vivere ai lettori "l'impossibile", tirandoli fuori dal loro io individuale, rompendo i confini della loro condizione, e facendo loro condividere, immedesimati con i personaggi dell'illusione, una vita più ricca, più intensa, o più abietta e violenta, o semplicemente differente da quella nella quale sono confinati, in questo carcere di massima sicurezza che è la vita reale.
Le finzioni esistono per questo e grazie a questo. Perché abbiamo una sola vita e i nostri desideri e fantasie esigono di averne mille. Perché l'abisso tra quello che siamo e quello che vorremmo essere doveva essere riempito in qualche modo. Per quello sono nate le finzioni: affinché, in quel modo surrogato, temporaneo, precario e contemporaneamente appassionato e affascinante, come è la vita nella quale ci trasportano, incorporiamo l'impossibile al possibile, e affinché la nostra esistenza sia contemporaneamente realtà e irrealtà, storia e favola, vita concreta e avventura meravigliosa." (da Mario Vargas Llosa, La finzione vi condurrà all'azione, "Il Sole 24 Ore Domenica", 01/05/'11)

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