mercoledì 30 marzo 2011

Diventare scrittori: Silvia Ballestra


"Quando penso, oggi, alla scrittura creativa, non mi vengono in mente le esperienze americane dei corsi di creative writing con insegnanti illustri e discepoli altrettanto illustri poi pubblicati qui da noi e avidamente letti, né le scorribande fra le varie bibliografie. E neanche i laboratori, i seminari, i convegni, ecc. Mi piace invece anzitutto ricordare, fra le esperienze per me più formative, le indicazioni che ho ricevuto alle scuole elementari. Erano gli anni Settanta, anni di sperimentazione e democratizzazione della scuola, del fondamentale lavoro di autori come Mario Lodi, con il libro collettivo Cipì, e Gianni Rodari, con le eversive Filastrocche in cielo e in terra, e il primo approccio con la scrittura ebbe per me un titolo emblematico: il «testo libero».
Nel testo libero, a volte graziosamente chiamato pensierino, potevi parlare di te e di quello che ti succedeva attorno senza dover sottostare a regole particolari, senza ancora rattrappirti nelle colonne del foglio protocollo, certo di trovare un lettore attento e partecipe che avrebbe segnalato, ma non punito (anzi a volte sottolineato con divertimento, come qualcosa che ti colpisce e scarta sorprendendoti), l'errore o lo sgambetto del dialetto. Produssi una discreta quantità di testi liberi, confrontandomi col passare delle stagioni, con la nascita di una cucciolata, poi scrissi una lettera minatoria a mia madre che si rifiutava di comprarmi un palloncino: la scrittura aveva del miracoloso e la potevi usare per gli scopi più diversi. Per celebrare la natura, per esempio, o esprimere emozioni, o lanciare invettive. Era qualcosa di liberatorio che portava fuori i pensieri e si lasciava condividere.
La maestra cominciò a leggerci - ad alta voce - L'isola del tesoro di Stevenson: lo faceva nel tempo che restava prima dell'uscita, come una sorta di esercizio di decompressione, ma il suono della campanella troncava a metà una descrizione, un'azione. Come andava a finire? Che avrebbe fatto quell'orrido marinaio? Che diavolo c'era dentro il baule? Decisi allora di comprare coi miei risparmi una copia tutta mia e quello fu il primo di tantissimi altri libri. Creammo poi un «quaderno collettivo» che passava di mano in mano fra i bambini e sul quale, chi voleva, poteva scrivere i suoi testi in una sorta di antologia in progress. Non era richiesto da molti ma si poteva tornare a scriverci, a volte proprio ispirandosi ai testi prodotti dai compagni.
Più tardi sarebbero arrivati altri esercizi di scrittura: i temi sull'attualità, la lettura dei quotidiani, le versioni da altre lingue. Sempre di scrittura si trattava, ovviamente, ma più strutturata, regolare, in qualche modo «ordinata», inquadrata. Un po' prigioniera, insomma, sottoposta a norme e misure. La scrittura creativa, invece, sarebbe riapparsa tanti anni dopo. Dopo anni di forsennate letture ma stavolta lontane dalla scuola - e dunque americani, i grandi del Novecento: Hemingway, Steinbeck, Fitzgerald, Salinger, e i visionari beatnik, ma pure i francesi e i russi del secolo prima - che mi avevano confermata in un rispetto quasi sacrale, sicuramente pudico, verso la scrittura, un'attitudine giusta però anche paralizzante da cui non si riusciva a spostarsi facilmente.
Il salto dalla lettura alla scrittura, insomma, adesso che c'era la consapevolezza della complessità delle opere, non era più così ovvio e felice come un tempo; non si scherzava più tanto facilmente con la lingua, non bastavano gli accenni, c'erano dei colossi inarrivabili a segnare la via. Eppure, la scrittura creativa riapparve, e di nuovo sotto forma di invito, come all'epoca dei maestri veri e propri. Si trattava del progetto Under 25 curato da Pier Vittorio Tondelli, «un'inchiesta letteraria sui ragazzi italiani nati dopo il 1960», come recitava il sottotitolo, consistente in una serie di antologie di scritti prodotti da giovani e inviati per posta alla casa editrice Transeuropa. Avevo comprato a Bologna, città dove vivevo per i miei studi universitari in Lingue, il secondo volume Belli & Perversi e avevo notato l'assenza di ragazze. Mi precipitai a cercare anche il primo volume, Giovani blues, uscito l'anno prima, e vi trovai un'introduzione dello stesso Tondelli assolutamente illuminante. Mentirei se dicessi che non mi importava tanto della eventuale possibilità di vedersi pubblicati, ma quel che più mi colpiva - e suonava come un potente invito, un richiamo sempre più convincente - erano le sue osservazioni sugli scritti dei ragazzi, sui diversi toni e linguaggi, sui temi, sul come fare e cosa fare, la sua onestà e interesse veri a mettersi in ascolto di chi cominciava o (pensavo, visto il mio caso) esitava a cominciare. Quell'introduzione fu la mia prima cassetta degli attrezzi. Tondelli raccontava di quando aveva cominciato lui, con Aldo Tagliaferri, il mitico editor della Feltrinelli, e di come avesse, da subito, dovuto riscrivere. Lo stesso capitò a me. «Quante stesure hai fatto di questa storia?», mi chiese Massimo Canalini, l'editor della Transeuropa che aveva ricevuto i miei racconti Under 25. Ecco, se la prima lezione di scrittura è Scrivi, di sicuro la seconda è Riscrivi.
Se si vuole continuare, almeno. La freschezza, la velocità, l'urgenza sono il soffio vitale che ti fa partire, ma dopo bisogna proprio mettersi lì a limare, pensare, cercare il dettaglio, lucidare la pagina finché non ti sembra che brilli anche al buio." (da Silvia Ballestra, La maestra ci diede un tema: fu una gioia, "Corriere della Sera", 26/03/'11)

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