martedì 8 marzo 2011

La cultura salva l'ippocampo


"Una vecchia idea della scienza cognitiva concepisce la mente come un sofisticato programma di elaborazione delle informazioni che "gira" su una macchina, il cervello, alquanto insensibile alla qualità delle attività mentali. Non ci sarebbe cioè alcuna influenza delle attività mentali sul cervello. Secondo questa impostazione se io passo gran parte del mio tempo ad avvitare bulloni alla catena di montaggio oppure a guidare un taxi, oppurea comporre musica, a scrivere libri, a fare ricerca scientifica, la differenza starebbe solo nelle attività svolte e non nella struttura cerebrale di chi svolge quelle attività.
Un lavoro di un gruppo di ricercatori della Fondazione S. Lucia di Roma, primo firmatario Fabrizio Piras, pubblicato su Human Brain Mapping, dimostra invece che c'è una relazione tra gli anni passati sui libri e le caratteristiche ultrastrutturali dell'ippocampo. Quest'ultima è un'area cerebrale chiave sia perché è uno snodo fondamentale del circuito della memoria sia perché intrattiene relazioni cruciali con il cosiddetto asse dello stress, l'asse ipotalamo-ipofisisurrene, che è una struttura master di tutto l'organismo. Con l'invecchiamento, l'ippocampo tende fisiologicamente a ridursi di volume, ma soprattuttoa cambiare struttura interna, per questo gli anziani tendono ad avere più difficoltà a memorizzare dati nuovi. Ma l'ippocampo è cruciale anche perché è una delle strutture più colpite in corso di demenza. Lo studio dei ricercatori romani dimostra che più alto è il numero degli anni di formazione scolastica e minore è il cambiamento negativo della struttura ippocampale. Sono stati studiati i cervelli di 150 soggetti in buona salute sia tramite Risonanza Magnetica sia con uno strumento più sofisticato chiamato Diffusion Tensor Imaging (Dti). Con la Rm si sono misurati i volumi di varie aree, ippocampo compreso, e con la Dti si è valutato lo stato del tessuto nervoso, la trama delle connessioni tra neuroni. Conclusione: chi ha un livello di educazione scolastica più alto ha anche una trama neuronale ippocampale più compatta. Questo vuol dire che ha mantenuto un buon numero di neuroni, ma anche (e soprattutto)i collegamenti tra loro, cioé le strade su cui circola l'informazione mentale. Questo lavoro, impiegando strumenti di imaging cerebrale molto moderni, giunge alle stesse conclusioni a cui giunse nel 1996 uno studio che fece scalpore: il cosiddetto Nun Study, pubblicato su Jama. Una ricerca fatta su 93 suore della Congregazione della School Sister of Notre Dame di età compresa tra i 75 e i 95 anni, studiate sia alla loro veneranda età sia quando avevano 20 anni. Come? Analizzando le autobiografie che le monache avevano scritto al loro ingresso in Congregazione(conservate negli Archivi), valutandone la ricchezza ideativa e la complessità grammaticale, si è risaliti al livello intellettuale e linguistico delle giovani suore: l'esame autoptico dei cervelli delle monache morte ha potuto stabilire una relazione diretta tra Alzheimer e scarsa abilità linguistica da giovane. In questo studio, nessuna delle monache con alti livelli linguistici era morta con l'Alzheimer. David Snowdon, epidemiologo e neurologo dell'Università del Kentucky, ideatore del Nun Study, lo sta continuando con 1000 anziani abitanti." (da Francesco Bottaccioli, La cultura salva l'ippocampo, "La Repubblica", 08/03/'11)

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