sabato 5 marzo 2011

Non è da tutti. L'indicibile fortuna di nascere donna


"Nascere donna è un'indicibile fortuna, sostiene Luisa Muraro, 81 anni, protagonista del femminismo italiano e del pensiero della differenza. Alla misteriosa "grandezza" delle donne ha voluto dedicare il suo ultimo lavoro, Non è da tutti, che è una sorta di manifesto-bilancio di decenni di militanza attiva, di ricerche filosofiche, di letture e di incontri con pensatrici di varia ispirazione, nella comunità di Diotima e nella Libreria delle Donne (Carocci). Un affascinante racconto sull'"eccellenza" femminile - un tempo la chiamava "superiorità" - che esce nel breve arco di tempo tra la splendida piazza di "Se non ora, quando?" e la prossima festa dell'8 marzo. E che segna una rottura rispetto al codice esoterico prediletto dalla sua comunità. Pagine nitide e colloquiali, che indagano sul "segreto" delle donne, un dono che affiora "tra le cose ordinarie della vita", non appariscente come la carriera o la promozione sociale, ma un'avventura sotterranea che presuppone un modo unico e insostituibile di intimità con il genere umano. Un privilegio che si manifesta nel vivere quotidiano, "nel rapporto con la casa, con le creature piccole, con i cibi e - quando c' è l'amore - con l'uomo".
È la "superiore capacità femminile del sentire", cui gli uomini pervengono solo in casi eccezionali. «La donna e Dio hanno un loro segreto di cui Adamo, raffigurato dormiente, non verrà mai a capo», dice Muraro ricorrendo alle parole di un illustre teologo. Questo nuovo libro colpisce anche per la forza comunicativa, che per certi versi è inedita. «È difficile rendere chiaro l'impensato, che richiede uno sguardo e un ascolto più ampio. Io mi ci sto avvicinando, ma questa è una parabola personale. C'era una Carla Lonzi che aveva il dono della lingua e della scrittura, autrice di testi molto nitidi. Mi fa piacere che si noti questo mio sforzo».
Però non è sempre stato così. «Sì, lo so. Tuttavia noi ci siamo ancora. E la nostra sfida permane. In Italia il pensiero della differenza resta vivo, e non è un risultato di poco conto».
Ma non ritiene che adottare un codice esoterico sia stato un errore? « Abbiamo fatto errori sicuramente e quello del linguaggio è sempre un terreno insidioso. Sono d' accordo: l'esoterismo è un rischio. Dobbiamo lavorare sul pensiero e sulla scrittura. Anche se a me non è mai mancata l'abitudine di comunicare. Nella mia regione, che è il Veneto, anche gli aristocratici si mescolavano con i contadini. E io che vengo da una famiglia della microborghesia ho sempre parlato con tutti. Però lo ammetto: ho scritto libri difficili».
In Non è da tutti è ribadita una sua vecchia tesi. «Metto in guardia dalla posizione falsamente femminista di considerare il sesso femminile come la grande vittima di una grande ingiustizia maschile. Questa semplificazione è tipica della politica dei diritti che porta a sopravvalutare quello che si può ottenere in nome dei diritti e a sottovalutare le persone con le loro risorse. Il rischio è di rimpicciolire ciò che moltissime donne mettono in gioco nel rapporto con il mondo e con l'altro sesso».
A un movimento tradizionale che aspira all'eguaglianza e alla parità lei oppone il pensiero della differenza. Ma, nell'attuale emergenza, ha un senso questa distinzione polemica? Non c'è il rischio di dividersi dinanzi alla necessità di porre un argine comune alla regressione della condizione femminile? «Non condivido la premessa. È l'immagine della donna che sta regredendo, non le donne nella realtà. È una delle scissioni prodotte dal tempo presente. Ne soffre la politica, divenuta spettacolo e mercato di bassa lega. Ne soffrono le arti. Ne soffre la filosofia. C' è un enorme avanzamento delle donne, anche se per rintracciarne i segni dobbiamo ricorrere a criteri diversi rispetto a quelli dell'emancipazione».
Quali? «Pensi all'autonomia personale, alla capacità delle donne di muoversi da sole per i loro progetti. Pensi alla non dipendenza dagli uomini rispetto ai loro destini: quante donne oggi partoriscono da sole? Più in generale, ora le donne possono esercitare un doppio sì: alla realizzazione di sé e al desiderio di maternità. La mia generazione non aveva questa libertà. Quando ho avuto un bambino mi sentivo lacerata. Ora le giovani donne hanno molti problemi, ma non sono lacerate».
Questo è indubbio, però comporta prezzi altissimi. «Una condizione molto faticosa sì, ma anche bella. Nella nostra civiltà che non è contemplativa l'intensità delle cose da fare, la rapidità del movimento, la molteplicità delle ispirazioni non è segno di infelicità, ma di ricchezza. Sono d'accordo che ci debbano essere nuove soluzioni. Non può durare così. Dalle donne viene richiesta una tensione estrema, però è anche ammirevole. Ho sentito uomini dell'industria e della cultura elogiare la loro bravura».
Talvolta le ammirano ma non le assumono, perché fanno figli e dunque sono un peso per l'azienda. «Fanno i loro interessi e bisogna impedirglielo». Ma allora perché polemizzare contro il femminismo dei diritti? «L'eguaglianza è un bene irrinunciabile, ma poi c' è un gioco più alto, e lì bisogna lanciarsi. Il bisogno di diritti è senza fine se io rinuncio alla libera realizzazione di me. Si reclama, si piange, si scivola nel vittimismo, senza mai trovare soddisfazione».
Lei pensa davvero che in Italia la condizione femminile goda di buona salute? «Non voglio essere fraintesa. Certo che siamo ai limiti e molte promesse - emerse negli anni del femminismo - non sono state mantenute. Ma la stessa manifestazione del 13 febbraio ha dimostrato che esiste una società femminile che non è affatto acquiescente con la volgarità maschile nella vita sessuale». Ma lei non si era pronunciata contro la manifestazione? «No, mai. Io ero intervenuta contro l' appello, che era scritto in un modo sbagliato. Prevaleva un tono offensivo verso le donne che si prostituiscono, e questo era contrario allo spirito del femminismo. Ma non volevo certo negare lo straordinario slancio di quell'appuntamento».
È nata una nuova pagina del movimento delle donne? «È stata la dimostrazione di una vitalità che in molti non avevano saputo vedere. Le donne hanno dimostrato con disinvoltura e allegria di non essere complici di un modello maschile esemplificato dal capo del governo. Che l'opera sia completata, certo non si può dire. Ci vorrà un'altra ondata di femminismo, oppure finalmente andremo incontro a una risposta più intelligente da parte degli uomini».
Ha mai pensato di nascere maschio? «No. Da adolescente, calzando un paio di braghe di mio fratello, mi sono risarcita di certi torti che mi faceva la femminilità. Capeggiavo la banda dei fratelli mediani - sono sesta di undici figli - ed andavo a tirare con la fionda. Poi avevo un particolare rapporto con i cappelli maschili: quando ero di cattivo umore ne indossavo uno. Così in famiglia erano avvertiti: quel giorno mordevo»." (da Simonetta Fiori, Femminismo per tutti, "La Repubblica", 04/03/'11)

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