mercoledì 9 marzo 2011

L’appello di Hannah: riscoprire la politica per amore del mondo


"The Human Condition è il libro, pubblicato per la prima volta a Chicago nel 1958, che consacrerà Hannah Arendt a «classico» della filosofia politica. Tradotto in italiano nel 1964 col titolo Vita activa, dovrà attendere parecchi anni prima di trovare nel nostro Paese un’attenzione adeguata. All’inizio degli anni Sessanta, infatti, il nome dell’autrice rimandava quasi soltanto all’opera sul totalitarismo e alla polemica suscitata dal processo Eichmann. Poco si discuteva del contributo filosofico di questa pensatrice ebrea, allieva di Heidegger e di Jaspers, costretta a lasciare la Germania e a cercare una collocazione negli Stati Uniti. Dalla fine degli anni Settanta, in compenso, la fortuna e la fama dell’autrice decollano, senza conoscere, fino ad oggi, battute d’arresto. Saggi interpretativi, monografie dedicate ai vari aspetti dell’opera, edizioni critiche di testi non pubblicati in vita, faranno di Hannah Arendt una delle figure intellettuali più discusse e citate nella comunità scientifica. E, probabilmente, anche una tra le più banalizzate. Banalizzante, per esempio, è stata la recezione della sua opera Le origini del totalitarismo: per alcuni una lezione di storia troppo disponibile alle logiche della guerra fredda. In realtà, il senso profondo del libro, la sua originalità, consisteva esattamente nel riuscire a complicare l’alternativa postbellica tra democrazie liberali e totalitarismo, mostrandone l’intricata relazione genealogica. Il lettore che si trova oggi tra le mani per la prima volta Vita activa non dovrà incorrere in un errore analogo. Il legame tra libertà e azione politica, che sta al cuore dell’opera, non può essere letto come il semplice correlato di una teoria liberale. Così come i richiami costanti all’esperienza della polis non devono produrre l’impressione di un progetto volto a restaurare un modello del passato. Né nostalgica della politica greca, né semplice sostenitrice della difesa dei diritti individuali, la filosofia politica di Hannah Arendt è soprattutto l’esortazione a concepire il potere, e il soggetto che agisce, in maniera diversa dalle modalità tramandate dalla tradizione. Senza lo sforzo di questa radicalità di pensiero, ogni idea di politica rimane, a suo parere, imprigionata nel cerchio del dominio, destinata prima o poi a inciampare nella relazione verticale di comando obbedienza. Per questo non basta, per definire il senso arendtiano della libertà politica, ricordare che essa si riferisce a un agire orizzontale e plurale, il quale non può esprimersi attraverso la coercizione e la violenza, ma solo tramite il linguaggio. Allo stesso modo è riduttivo insistere su quell’idea di spazio pubblico, così cara all’autrice, come se si trattasse della mera ricerca di un’intesa intersoggettiva, del riconoscimento reciproco tra le diverse identità degli attori o dei gruppi che agiscono sulla scena. Certo, la sfida arendtiana è in primo luogo volta a ripensare la politica al di fuori del dominio, ma non come semplice limitazione del potere centrale a difesa dei diritti privati di libertà, ma esattamente come moltiplicazione delle fonti di potere e del potere stesso. Perché il potere, secondo Hannah Arendt, non è la facoltà di costringere il comportamento altrui. È invece l’espressione dell’energia che si sprigiona dall’azione, quell’energia che dà forma e significato alla vita del singolo e che la politica, con la sua dimensione corale e agonistica, moltiplica e potenzia. Vita activa, allora, più che al funzionamento dello Stato e delle sue istituzioni, risponde a una domanda di senso: come conferire significato alla vita, in modo che diventi la vita di qualcuno? Come riallacciare il legame tra politica ed esistenza fatto a pezzi nei regimi totalitari? A fronte dell’esito nichilistico della prima metà del XX secolo, essa rilancia la capacità formativa e performativa dell’agire; contro il risentimento nei confronti del nulla, invita a riscoprire l’«amore del mondo» e la gioia dell’azione politica. Quella gioia dell’essere liberi che consiste nella possibilità di incominciare sempre da capo e insieme." (da Simona Forti, L’appello di Hannah: riscoprire la politica per amore del mondo. Una visione corale dell’impegno civile, "Corriere della Sera", 09/03/'11)

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