mercoledì 9 marzo 2011

Cees Nooteboom: la realtà creata nelle pagine dei romanzi


DedicaFestival

"Tempo fa, nel diciottesimo secolo, George Berkeley, vescovo di Cloyne, affermò che affinché l'esistenza di qualcosa sia possibile, è necessaria la sua percezione. I detrattori della sua tesi (a cui attribuirono l'oltraggioso nomignolo di idealismo), accusarono Berkeley di negare l'esistenza materiale del mondo; i lettori meno insensibili, tuttavia, scoprirono che l'affermazione di Berkeley non significava che non esiste realtà al di fuori della nostra percezione, ma che, nel momento in cui noi non percepiamo tale realtà, non possiamo presumere di conoscerla. Secondo Berkeley, la percezione è necessaria per consentire alle cose di acquisire l'esistenza nella coscienza di chi le percepisce. Ciò significa che, affinché qualcosa diventi un possibile oggetto di esplorazione da parte nostra, sia a livello emotivo che intellettuale, è prima necessario che noi la percepiamo. La percezione crea il mondo che cerchiamo di conoscere.
Non ho idea se il vescovo Berkeley faccia parte della biblioteca universale della mente di Cees Nooteboom, ma credo che Nooteboom abbia applicato la tesi del buon vescovo al campo della letteratura, magari in modo inconsapevole, ma con notevole successo. Per Nooteboom (Nooteboom lo scrittore) il mondo è, per così dire, sempre al suo inizio. Giorno e notte, terra e acqua, le creature viventi e il loro lavoro, tutto inizia quando Nooteboom comincia a narrare la sua storia, a pagina uno della loro stessa esistenza. Ogni volta che Nooteboom parte per un viaggio, lui stesso, a differenza dei viaggiatori più normali, è l'artefice del territorio che attraversa, e in quel paesaggio incantato tutto accade per la prima volta. Come spiega il narratore di Le montagne dei Paesi Bassi (senza dubbio uno dei capolavori di Nooteboom), c'è molto in comune tra uno scrittore e un ingegnere, tra la costruzione della realtà con le parole e la ricostruzione della realtà con il calcestruzzo e il ferro, cioè, tra la narrazione di storie e la realizzazione di strade vere e proprie.
Per Nooteboom, la letteratura non è, o non dovrebbe essere, uno specchio, «una specie di imitazione della realtà, delle storie quotidiane, e si possono apprendere le stesse cose al bar più vicino», come protesta uno dei suoi personaggi. Non è neppure un catechismo, che fornisce domande prestabilite per risposte già confezionate. Al contrario: le domande che la letteratura pone, dovrebbero fuoriuscire da vicoli ciechi e pozzi senza fondo, destabilizzare e disorientare il viaggiatore, condurre lontano dalle vie di fuga conosciute, cannibalizzare la loro carne e lasciare una traccia per ulteriori quesiti. Ovvero, in termini meno brutali, è una conversazione in fase di svolgimento in cui lo scrittore e il lettore, mentre parlano, costruiscono, strato su strato, il mondo dove ci troviamo. (...)
Non ci sono case sicure nel paese di Nooteboom e nessuno dei suoi libri è un recinto custodito. Ogni paragrafo, ogni pagina si ramifica in un giungla di digressioni, di storie susseguenti, di storie alternative, di commenti inquietanti e schiette citazioni. Come si addice all'opera di un vero berkeleyiano, la prima persona singolare regna in tutta la geografia di Nooteboom. «Il pronome IO è migliore perché è più diretto», è la citazione tratta dal Nuovo dizionario enciclopedico Webster, che dà inizio al prologo de Il giorno dei morti. «Questo, certamente, è ciò che deve fare uno scrittore», afferma uno dei romanzieri di Il canto dell'essere e dell'apparire: «Librarsi come un'aquila sopra i personaggi che desidera seguire». E in seguito, come un'accusa: «Tu credi che il mondo inizi ad esistere solo nel momento in cui inizi a scrivere». In questa ironica affermazione c'è una commovente fede di fondo nella verità della letteratura, che pochi scrittori potrebbero concedersi.
Pochi scrittori. Quasi nessuna forma letteraria va oltre la curiosità errante di Nooteboom. Romanziere di grande maestria, scrittore di viaggi esemplare, saggista consumato e critico d'arte originale e intuitivo, Nooteboom è, soprattutto e in tutti questi generi letterari, un poeta. Le sue opere in poesia, raccolte in quasi 400 pagine, abbracciano una molteplicità di argomenti e voci, e condividono con la sua prosa la prerogativa talmudica di dibattito animato. Un poema esemplare, Autoritratto di un altro, del 1993, destinato ad accompagnare i quadri dell'artista Max Neumann, esplora, in trentatrè sezioni in prosa, la relazione tra il paesaggio, l'artista e il lettore, attraverso le parole che li collegano e danno loro un'esistenza e un volto. Dell'artista (ma il lettore sa di essere incluso), Nooteboom dice: «Vede se stesso in ciò che deve svanire, in ciò che deve rimanere, in tutte le cose che già esistono». «Già» si riferisce all'attimo che intercorre tra la pagina bianca e l'apposizione della prima lettera.
Quell'attimo carico di significato, tra la possibilità e il tentato compimento è, nella scrittura di Nooteboom, di fondamentale importanza. Sancisce i limiti dell'arte dello scrittore e invoca la complicità del lettore. Un poema breve, Post, si rivolge al lettore in termini distaccati, quasi irriverenti:
Come qualcuno che volti pagina / senza averla letta, / tutto scritto per nulla.
Per nulla o per qualcosa: la responsabilità della possibile "epifania" è nostra. In questo senso, l'opera di Nooteboom è stata accolta con lo stesso entusiasmo in tutto il mondo, tranne che in patria. In Spagna, in Francia, in Scandinavia, in Sud America, nei paesi anglofoni, Nooteboom è considerato una delle figure dominanti della letteratura contemporanea. In Germania, per esempio, la sua opera completa è raccolta in nove eleganti volumi che lo collocano tra i grandi classici moderni. In olandese non esiste una edizione del genere, e non sarebbe futile chiedersi perché. Forse perché, nella scrittura di Nooteboom, il paesaggio modella i suoi abitanti i quali, a loro volta, definiscono il paesaggio. Di conseguenza, l'Olanda dà origine a una specie di «assolutismo, simile al deserto», (afferma il narratore di Le montagne dei Paesi Bassi), una piattezza che concede una totale visibilità alle sue creature, facendo in modo che «non si incontrino, ma si scontrino l'una con l'altra». Perfino il loro linguaggio, insiste il narratore, trae origine da quel paesaggio: «Argini distrutti, venti orientali, torrenti divorati dal ghiaccio che originano suoni aspri emessi dalla parte superiore della gola». Nulla di ciò è mera caricatura o topologia semplicistica, ma un tentativo onesto di seguire i fili che intersecano il luogo dove viviamo con ciò che facciamo, e ciò che facciamo con chi siamo. Tutto ai fini del racconto, in un tentativo esemplare da parte di Nooteboom di percepire ciò che vorrebbe diventasse realtà.
Forse proprio per quel motivo, perché ha rifiutato di esporre una narrazione convenzionale della loro identità storica e geografica, gli olandesi non hanno voluto riconoscere Nooteboom come lo scrittore più importante del loro paese. Questo accade, molte volte, quando uno scrittore, invece di favorire il colore locale e un approccio sociologico indulgente, sceglie invece una visuale più ampia, che comprenda tutte le prospettive. Agli olandesi, Nooteboom deve sembrare colpevole di lesa maestà. Non deve essere venuto loro in mente che potrebbe essere proprio il contrario." (da Alberto Manguel, La realtà creata nelle pagine dei romanzi, "Il Sole 24 Ore Domenica", 06/03/'11)

Nessun commento: