sabato 27 marzo 2010

Questo libraio è un vero detective


"Due librai si aggirano per la Parigi di fine Ottocento, spalleggiati validamente dal loro bizzoso commesso, e fra un’edizione antica e l’ultimo romanzo di successo risolvono sanguinosi delitti. Lo fanno da parecchi anni, perché la serie delle sorelle Liliane Korb e Laurence Levèfre, nome d’arte collettivo Claude Izner e tra le altre cose ex bouquinistes sulle rive della Senna, va avanti di anni. In Italia è arrivata al quinto episodio, Il rilegatore di Batignolles, appena uscito, come i precedenti per le Edizioni Nord, giusto in tempo per l’appuntamento con i trent’anni del Nome della rosa, uscito nel 1980.
Non parla di abbazie medioevali, ma per molti aspetti ricorda proprio i gusti letterari di Umberto Eco: a parte il giallo che si costruisce intorno a una traccia di libri, e si dipana grazie ad essi, c’è il gusto storico per la ricostruzione d’ambiente, l’amore dichiarato per il feuilleton, il gioco sottile delle citazioni e un leggera ironia che pervade episodi e personaggi. Questa volta Victor Legris, il libraio protagonista, è molto restio a gettarsi nell’indagini, perché ha promesso all’amata Taša, artista russa di rara bellezza, di non immischiarsi mai più in delitti e ammazzamenti, rischiando la pelle. Ma c’è il suo Watson, il commesso Pignot, giovane piacente seppure un po’ gobbo, grande ritagliatore di giornali e autore di romanzi giallo-gotici, che non gli dà tregua. E c’è il padre adottivo, e socio, l’elegantissimo giapponese Kenji Mori, che non si sa come ma all’ultimo momento trova sempre la traccia decisiva.
Fra molti turbamenti sentimentali e complicati intrecci amorosi, i tre avranno ragione di una serie di omicidi che affondano le loro radici nella strage della Comune di Parigi, vent’anni prima. In questo caso, una delle tracce importanti è costituita da un prezioso manoscritto persiano, scomparso nel rogo di una legatoria e riapparso alla Biblioteca Nazionale. Ma in generale la vera protagonista è la libreria, microcosmo spesso esilarante dove fra clienti insopportabili, dame querule e grandi scrittori come Anatole France, celebre bibliofilo e frequentatore abituale, nessun mistero resiste per più di duecento pagine. Non c’è commissariato che tenga: la libreria è il motore di qualsiasi indagine.
Il principio non vale solo per Izner: anzi, sui banconi reali dei nostri librai ne fioriscono parecchie di immaginarie, come se ci fosse stato una sorta di passaparola fra scrittori ed editori. C’è per esempio quella, ancora parigina ma contemporanea, fondata in Rue Dupuytren - sempre nel Quartiere Latino: anzi, in quella stessa via succede qualcosa, più d’un secolo prima, anche a Pignot - da due simpatici visionari della buona letteratura. L’ha inventata la francese Laurence Cossé in La libreria del buon romanzo (Au bon roman) - che le edizioni e/o) pubblicano il 7 aprile -, ed è il cuore d’una vicenda basata sul culto della buona letteratura: la sfida di vendere solo romanzi buoni o molto buoni scatena una lotta sorda, con attentati, minacce, scrittori visitati da brutti ceffi, campagne di stampa di oscura provenienza. Anche qui bisognerà capire da dove viene il pericolo, e non sarà facile nonostante l’aiuto di un commissario amante delle buone letture.
La Cossé metta in scena lo scontro fra due idee diverse di mercato editoriale, opponendo alle megalibrerie e ai bestseller il sogno, piuttosto diffuso, di vendere solo i libri che si amano. E nel romanzo, che dopo un’ottima partenza diventa forse prolisso, gli elenchi degli autori prediletti saranno magari poco sorprendenti, ma certo contengono un discreto omaggio all’Italia, e in particolare a Fruttero e Lucentini (grazie di cuore). La trama «gialla» si perde un po’, alla fine, e diventa quasi sociologica.
Non così avviene al «Papiro» di Belgrado, dove i lettori che passano lunghe ore sprofondati nelle poltrone di un libreria ancora una volta votata alla qualità, muoiono come mosche, e per cause inspiegabili. Anche in questo caso l’enigma è difficilissimo, e Zoran Zivkovic, l’autore di L’ultimo libro (TEA), si pone esplicitamente il problema se la soluzione vada cercata in Umberto Eco. Una arcigna anatomopatologa si chiede «se qui abbiamo a che fare con qualcuno che sta imitando Il nome della rosa»: ma proprio nel finale l’ispettore che conduce le indagini (bibliofilo e innamorato) si convince che la causa delle morti improvvise non può essere un volume avvelenato. C’è ben altro, e si tratta di una faccenda squisitamente letteraria, suggerita dal titolo stesso. Il finale, metaletterario, è un po’ deludente. I libri sui libri sono maledettamente difficili, e corrono rischi notevoli: per esempio quello che il proclamato amore per la letteratura «alta» (il termine è di Zivkovic) resti appunto un proclama, estraneo al testo. Il loro è un percorso pieno di trappole, che solo il baldo Victor Legris (il libraio di Izner), sorridente e noncurante, evita alla brava.
A ben guardare, però, c’è anche un nuovo investigatore palermitano, Enzo Baiamonte, che dimostra l’acume necessario, in Il libro di legno di Gian Mauro Costa, edito da Sellerio: bazzica assai poco le librerie, ma deve recuperare cinque volumi mancanti dalla biblioteca di un professore passato a miglior vita. In quei titoli c’è la chiave di un enigma che lui all’inizio nemmeno sospetta, e a poco a poco, in una Palermo torrida, coloratissima, odorosa e naturalmente mafiosa gli si fa sempre più chiaro. L’idea di Eco (e delle Mille e una notte, e di Dumas) trova una inedita, non irrilevante riformulazione: dal libro che uccide al libro che arresta, incarcera, incatena. E forse salva la vita." (da Mario Baudino, Questo libraio è un vero detective, "La Stampa", 27/03/'10)

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