mercoledì 24 marzo 2010

Gianrico Carofiglio - Libri come


"La domanda non è: come mai un giorno un pubblico ministero abbia deciso di fare lo scrittore. La domanda è piuttosto: come mai un ragazzino che da grande voleva fare lo scrittore si sia trovato invece a fare il magistrato e, per molti anni, fino a un'età ampiamente adulta, non abbia scritto un solo rigo. La risposta – o almeno una delle risposte – è: paura. Paura di provarci davvero e scoprire di non essere capace. Per via di quella paura ho cercato – e naturalmente trovato – ogni sorta di espedienti e diversivi per rinviare il momento della verità. E in un certo senso anche fare il magistrato – un lavoro che poi mi è piaciuto e che ho amato tantissimo – è stato una specie di gigantesco diversivo. Poi, dai diversivi sono passato a caute, inconsapevoli manovre di avvicinamento. Per esempio scrivendo saggi sulle tecniche del l'interrogatorio, veri e propri manuali per addetti ai lavori. In realtà, in quel maneggio solo apparentemente tecnico di storie processuali, dietro il paravento del manuale, c'era già, ben nascosta, tutta la mia voglia di raccontare. Ma questo l'ho capito davvero solo molto più tardi.
C'è un momento che probabilmente segnò una svolta decisiva: dopo due libri, editi con Giuffrè, lo stesso editore mi aveva chiesto di scrivere un manuale pratico che illustrasse l'applicazione di moduli psicologici e retorici all'indagine e al processo penale. Dopo aver prodotto faticosamente una sessantina di pagine mi resi conto che non avevo davvero voglia di scrivere quel libro. Mi chiesi: «È davvero questo che vuoi fare?». Mi risposi che in realtà avevo voglia di fare altro e forse si stava avvicinando il momento in cui non avrei potuto ulteriormente rinviare. Ricordo con precisione di aver percepito che stavo per passare dalla fase della vita in cui si dice «un giorno farò lo scrittore» alla fase in cui si dice: «Avrei voluto fare lo scrittore». Come tutte le percezioni che hanno a che fare con il trascorrere irrimediabile del tempo, non fu una sensazione piacevole.
Sei mesi dopo cominciai a scrivere quello che sarebbe diventato il mio primo romanzo. Intendiamoci. Ci avevo provato tante volte, prima. Ogni due, tre anni mi veniva un'idea per una storia, costruivo uno schema, prendevo appunti, leggevo manuali di scrittura creativa per darmi coraggio. Poi buttavo giù tre o quattro pagine, mi accorgevo che non erano buone – non sono mai buone, le prime pagine, ma allora non conoscevo il meccanismo – pensavo che il momento non era arrivato e smettevo.
Poi accadde una cosa che per me è tuttora inspiegabile. Il 5 o il 6 settembre del 2000 cominciai a scrivere, continuai a farlo per nove mesi, tutti i giorni, e il 5 o il 6 maggio dell'anno dopo il romanzo era finito. Quel romanzo – che si sarebbe intitolato Testimone inconsapevole (Sellerio) – è stato scritto con una determinazione e, direi, una sorta di misteriosa sicurezza che non ho mai più ritrovato scrivendo gli altri libri. Mi chiudevo in mansarda tutte le sere, di ritorno dall'ufficio e dicevo: «Vado a lavorare». Che, per un non-scrittore quale io ero, è un'affermazione quantomeno bizzarra.
Quel libro è stato scritto con tecnica cinematografica, e anche questo è un dato interessante, credo. Allude a una consapevolezza tecnica del tutto assurda per uno che non aveva mai scritto non dico un romanzo, ma nemmeno un racconto. Quando parlo di tecnica cinematografica intendo dire che scrivevo parti del romanzo come se girassi scene di un film, senza quasi nessuna relazione con la sequenza finale della storia. Alla fine, come si fa per i film, ho effettuato il montaggio e il romanzo ha preso la sua forma finale, come per una sorta di magia. È un metodo che continuo a utilizzare, ma non mi è mai più accaduto di praticarlo con la stessa lucida consapevolezza di quella prima volta.
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Una storia, sia essa destinata a diventare un romanzo o un racconto, comincia, per me, contemporaneamente alla visione del suo finale e alla nascita del suo protagonista. Anzi direi: almeno dei suoi due protagonisti principali. Questa fase precede di molto l'inizio della scrittura vera e propria. Per settimane o anche mesi cerco di capire chi sono questi personaggi e perché devono muoversi verso quel finale. Di regola non ci riesco. In realtà l'unico modo per cominciare a capire chi siano questi personaggi e per quale ragione questa storia chiede di essere raccontata, è cominciare a scrivere. Thomas Mann diceva che lo scrittore è una persona per la quale scrivere è più difficile che per le altre. Credo sia vero.
Comincio a scrivere sul serio solo quando – oppresso dal senso di colpa – percepisco il pauroso avvicinarsi della data di scadenza per la consegna. In questo senso, la tendenza patologica alla procrastinazione che in più casi ho attribuito al personaggio di Guido Guerrieri è un connotato del tutto autobiografico. Quando alla fine comincio a scrivere, attraverso una prima fase frenetica e alluvionale. Lavoro senza regole, mi interrompo in continuazione, butto giù frasi che spesso non stanno in piedi, aggiungo appunti tra le righe, con caratteri diversi. Insomma, un manicomio. Quando ho generato questo ammasso di parole, del quale solo vagamente si intuisce un disegno, so che lì dentro è nascosta la mia storia e che la vera scrittura sta per cominciare. Michelangelo diceva che in ogni blocco di granito è prigioniera una statua e che il compito dello scultore è di liberarla. Allo stesso modo in quei blocchi di parole sono imprigionate storie e personaggi che attendono anche loro di essere liberati. In questo senso la scrittura, proprio come la scultura, è arte del togliere. Parole, frasi, paragrafi, a volte interi capitoli. Senza pietà, perché spesso è proprio quello che ci piace di più, cioè che soddisfa il nostro narcisismo, che impedisce alla storia e ai personaggi di liberarsi completamente. Capisco, un poco, chi sono i personaggi e di cosa parla la storia soltanto dopo questa operazione, che a volte è quasi divertente e liberatoria, altre volte è decisamente dolorosa.
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Credo che lo scrivere abbia essenzialmente a che fare con la paura, sia un nuotare sott'acqua trattenendo il fiato o un vero e proprio negoziato con le ombre, secondo le bellissime definizioni rispettivamente di Scott Fitzgerald e di Margaret Atwood.
È come percorrere una stanza buia alla ricerca di un'uscita che non sei mai sicuro di trovare. Cerchi di abituare lo sguardo all'oscurità, urti, inciampi, ti fai male e soprattutto, momento dopo momento, scopri che le cose non sono mai come le immaginavi. E intorno a te, invisibili e reali, le ombre, a volte inquietanti, altre volte stranamente cordiali. Con loro, comunque, devi venire a patti se vuoi raggiungere incolume l'uscita. Ci sono cose che ti aiutano in questo viaggio nel buio e in questo negoziato con le ombre. Gli altri libri per esempio, da usare come piccole torce per fendere almeno un poco l'oscurità.
Eliot ha detto che gli scrittori immaturi imitano, quelli maturi rubano. Non so se sono uno scrittore maturo, ma certamente mi piace rubare dagli altri autori.
Mi piace citare per far procedere nascostamente la storia o per descrivere obliquamente i personaggi. Ecco: l'obliquità dello sguardo è, secondo me, una delle caratteristiche della buona scrittura, e le citazioni ben fatte sono un modo per generarla. In questo senso scrivere e leggere sono atti di partecipazione a un grande, sterminato dialogo collettivo. Una rete immensa in cui è tutto impigliato: le storie, i personaggi, gli autori del passato, quelli del presente, i lettori. E le ombre, naturalmente. Placate, almeno per un poco." (da Gianrico Carofiglio, Tecnica del colpo di penna, "Il Sole 24 Ore", 21/03/'10. L'articolo anticipa in buona parte i contenuti della lezione magistrale, «Come scrivo i miei libri», che lo scrittore barese terrà nel corso del Festival Libri Come (Auditorium di Roma dal 25 al 28 marzo), giovedì 25 alle 21. Il festival, nato da un'idea di Marino Sinibaldi e organizzato dalla Fondazione Musica per Roma, si articola in sezioni quali «Scrivere Come» (dedicata agli interventi e alle confessioni degli autori), «Pubblicare Come», incontri, analisi e approfondimenti riservate alla produzione, distribuzione e vendita dei libri, «Leggere come», grandi lettori raccontano al pubblico la loro esperienza di divoratori di libri.)

Come nasce un libro? La parola alla I Festa della lettura (Il Sole 24 Ore)

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