lunedì 1 marzo 2010

Da Plinio a Guareschi, sul Po scorre la letteratura


"Due lettere e null'altro. Non c'è articolo per il grande fiume. Solo le temute e reverenziali "P" ed "o" per descrivere un mondo. Per la gente degli argini è ancora così. Grande e delicato, placido e impetuoso Po, pieno di vita e portatore di morte. Come Dio, ma "Traditor". Così lo ritrovi ancora oggi nelle filastrocche di Melara, nelle storie di San Zenone, nelle tragedie estive di Boretto. «Fin dai primi bagni mi sono sentito dire da mia madre e da quanti altri temevano per la mia vita che Po è traditore, e che mai avrei dovuto nuotarvi.
In compenso, ho appreso dai miei compaesani che uno poteva dirsi degno del clan e della qualifica di vir soltanto se avesse attraversato Po a nuoto, ritornando il più presto possibile alla riva natìa». Fiume prima di tutto traditore anche per Gianni Brera, che in Invectiva ad Patrem Padum ne evoca la sfida attraverso temerari riti di passaggio. "Eridanòs" lo chiamavano i greci accomunandone mito ed etimo agli attuali e più nordici Rodano, Reno e Danubio. Era Bodinco per i liguri, Pades per i celti. Nomi diversi, radici lontane, medesime acque. Plinio nella Naturalis Historia lo descrive navigabile fino a Torino. Oggi che il suo alveo continua a sprofondare così non è più. Altri tempi. A Brescello, dove una volta si affrontavano Don Camillo e Peppone, progettano una chiusa per riportare il grande fiume al lontano 1954, quando le barchesse navigavano serenamente anche con la magra.
Così lo tratteggiava Guareschi: «Poi, arrivati sull'argine grande, ecco il fiume vasto, deserto, imponente e silenzioso, e più che un fiume pare il cimitero delle acque morte. Don Camillo camminava verso l'argine grande, con un grande fazzoletto bianco tra il cranio e il cappello, ed era l'una e mezzo di un pomeriggio d'agosto, e a guardarlo così solo in mezzo alla strada bianca, sotto il sole, non si poteva immaginare niente di più nero e di più prete». Davvero altri tempi, l'acqua era sì schiumosa e torbida, ma non avvelenata.
E dunque Don Camillo «si spogliò ripiegando accuratamente gli indumenti e facendone un involto che nascose tra il frascame di un alberello e, quando si trovò in mutande, andò a buttarsi nell'acqua». Tranquillo Don Camillo, i pesci siluro e il petrolio sono paure di un presente ancora lontano. Solo la corrente non perdonava. Ora come allora. Per non dire delle "mannare" onde di piena.
Così nel Mulino del Po ne fa una descrizione Riccardo Bacchelli: «Dalla lanca, dove l'acqua a momenti ridondava e girava a ritroso in tondo ... dal mulino, si scorgeva la corrente, l'immane flusso della piena, fremere e ribollire infuriando sulla punta, scrosciare e rimbalzare, fuggire con una fila di gorghi e di risucchi avidi e astiosi, che segnavano il margine fra le acque vive e grosse del filone, e le semimorte della lanca. Affioravano e affondavano, veloci, i più diversi oggetti; e qualcuno veniva spinto dalla corrente nell'acqua pigra, aggirato a lungo, respinto e ripreso. Potevan diventare pericolosi, se un mutamento del letto venisse a buttare con il mulino tutta o parte della corrente; erano tronchi d'albero, barche perdute, e masserizie e carri colonici anche, o caduti dagli argini su cui la gente spaurita s'accalcava colle sue robe, o rapinati dal fiume nelle golene e nei campi invasi; eran carogne d'animali domestici e di stalla, sordide e sconcie, ben tristi, convolte e travolte». Eppure, passata la buriana, l'equilibrio tornava e il grande fiume lo ritrovavi. Con il suo scorrere lento, di specchio e d'afa estiva, di nebbie invernali. Il forte frusciar continuo e le acque sempre nuove. Tutto questo c'era una volta.
«Una volta il Po si beveva», scriveva in un saggio Domenico Rea. A vederlo oggi appare come un vecchio malato. Fra buste di plastica e bolle saponose già a Cremona le sue rive sanno di rancido. Ispirarono a d'Annunzio "e loderò la chiara sfera d'aere e d'acque". Davvero altri tempi, con le chiare acque ridotte a eco lontana per poeti e nostalgici. Il nostro Po, quello della cronaca, banalmente sta morendo." (da Stefano Biolchini, Da Plinio a Guareschi, sul Po scorre la letteratura, "Il Sole 24 Ore", 25/02/'10)

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