sabato 6 marzo 2010

Hanno tutti ragione


"Antonio D'Orrico è uno sventato generoso quando afferma (o riferisce) che il romanzo di Paolo Sorrentino Hanno tutti ragione richiamerebbe in mente Gadda o Céline. Ma può essere non lontano dal vero quando ritiene che
è un romanzo non comune.
Racconta la storia di Toni Pagoda napoletano gran cantante di successo (dopo l'esibizione a New York ha avuto i complimenti di Frank Sinatra) che, in linea col suo essere famoso e acclamato, ha una vita dispendiosa e brillante - anzi più che brillante alimentata da eccessi e inaudite sregolatezze a cominciare dal suo rapporto con le donne - tutte sono sue e le possiede con il disinteresse di chi è cercato e la trascuratezza di chi le considera occasioni irrinunciabili di piacere (tranne una che poi sarà la sua imperdonabile colpa); sniffa cocaina in quantità non inferiore al vino che ingurgita l'alcolizzato; deride e maledice l'intero mondo cui appartiene fatta eccezione per i quattro cinque amici della band che con lui suonano nelle serate.
Ma presto il lettore si rende conto che questi eccessi e irrispettosità - più granghignoleschi e ribaldi che reali - sono il frutto della sua insopportazione della vita che ha intorno (la sua compresa), di cui percepisce la degradazione e il non senso in cui è caduta e da cui non vede possibilità di riscatto. Il suo non è il male di esistere ma il rifiuto di condividere i comportamenti di una società dominata da egoismi, viltà, corruzione e ignoranza.
Tanto che, quando quel rifiuto (anche contro se stesso complice confesso di tanta bruttura) supera ogni livello di sopportazione, lui, il cantante famoso, ricco e adorato cui tutto è consentito, abbandona tutto, il successo, i soldi, la cocaina (nonché moglie e figlia) e si rifugia tra le foreste dell'Amazzonia a vivere di niente (in semplicità e povertà). Vi rimane sereno per diciotto anni finché un tycoon nazionale, corruttore d'anime, lo convince con una offerta strepitosa di denaro a tornare in Italia a cantare (canterà solo per lui o insieme a lui nelle tante ville che possiede). La sua fuga è stata inutile. Pezzenteria morale, cafonaggine, droga e prostituzione sono là decise a riprenderselo.
Dunque Hanno tutti ragione ha al centro come i romanzi d'antan un vero eroe insieme vile e nobile, consapevole e ignaro.
Ma mi viene la domanda: il suo eroismo non riflette uno schema di azione ripetitivo e già collaudato che si snoda nei momenti classici di: partecipazione alla colpa, pentimento e ritorno alla colpa? E poi sono ancora possibili i romanzi di eroi o non è vero che l’attualità non è più in grado di esprimere l'eroe a tutto tondo ma solo personaggi dimezzati che nelle fessure della loro incompletezza mostrano e, se pure oscuramente, svelano verità sconosciute (che vanno al di là della testimonianza del tempo storico al quale appartengono)?
Ma Sorrentino è bravo e furbo (e poi ha dimostrato di essere un valoroso uomo di cinema al quale non è ignota la forza del rappresentato sul detto) e impedisce al suo eroe di raccontare l'orrore in cui vive in termini didascalici e di denuncia intanto facendolo complice dei delitti messi in scena e soprattutto dotandolo dello strumento del sarcasmo e del grottesco che gli consente di vincere la finta sincerità (dunque la menzogna) della parola. Il linguaggio messo in campo da Sorrentino è davvero straordinario, sporco e gridato, sbruffone e provocatorio, ironico calco di quello in uso tra la mala napoletana e ormai praticato da tutti i parlanti della città. E allora un’altra domanda: fino a che punto si tratta di una lingua inventata (come su tutt’altri registri era stato il parlato di Arbasino e di Tondelli) o non piuttosto di un abile trasporto dall’esterno?
Ma sospendendo i tanti interrogativi in attesa di risposta di davvero inventato in questo romanzo di Sorrentino sono alcuni teatrini cinematografici di forte pregnanza simbolica come le pagine sul comodino il cui ripiano superiore svegliandosi nel cuore della notte l'eroe ancora inebetito di cocaina scopre che è vuoto senza nemmeno uno straccio di abat-jour e non si capacita e cerca di riempirlo con tutto ciò che trova sottomano ma il senso di vuoto permane finché vi appoggia un pesantissimo televisore e tutto crolla e va in frantumi; o le altre (pagine) del cugino gigante inseguito per le scale da un minuscolo rispettabile magistrato per l'occasione in mutande che lo rincorre con una pistola in mano e gli spara al polpaccio.
E numerose altre irresistibili sequenze.
In conclusione per un giudizio complessivo in attesa delle risposte agli interrogativi posti e proprio perché quelle risposte meritano tempo e escludendo che in proposito valga il riconoscimento della sincerità dell’autore (indubbia) e la passione dei suoi convincimenti assolutamente condivisibili per ora fermiamoci a dire che Tutti hanno ragione è un romanzo non comune." (da Angelo Guglielmi, E' vile e nobile l'eroe di Sorrentino, "TuttoLibri", "La Stampa", 06/03/'10)

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