sabato 6 marzo 2010

Donne senza uomini


"Esule dal suo Iran, lei, Shirin Neshat, lo è da una vita: 'Avevo diciassette anni quando lasciai il Paese - racconta la cinquantatreenne videoartista nonché regista, Leone d'argento a Venezia per il film Donne senza uomini - mio padre mi mandò all'estero a studiare, credevo che sarei tornata. E invece vennero la Rivoluzione islamica di Khomeini, poi la guerra con l'Iraq. E così sono stata 'abbandonata' in Occidente: e quella lontananza dalla mia patria è durata per sempre'. Trasformandola in una cittadina del mondo, in dissidente perpetua, che dalla sua casa di New York segue con apprensione le vicende di Teheran, gli arresti dei suoi colleghi cineasti. Come Jafar Panahi: 'Stiamo cercando, con Amnesty International, di farlo liberare: ma l'unico modo per ottenerlo è che si mobiliti Hillary Clinton'.
La Neshat è a Roma perché la sua pellicola, visuale e sperimentale come la sua autrice, sta per sbarcare nelle sale italiane grazie alla coraggiosa distribuzione della Bim. Donne senza uomini è una storia tutta al femminile, ambientata nell'Iran del 1953 quando, con un colpo di Stato appoggiato dalla Cia, fu deposto il presidente democraticamente eletto e cominciò il regime dello Scià. Su questo sfondo, assistiamo alle vicende di quattro personaggi, i cui destini confluiscono in uno splendido giardino di campagna ...
Shirin, cosa rappresenta il giardino al centro della sua pellicola? 'Uno spazio di libertà che per queste donne è come lo spazio dell'esilio: un luogo dove loro avrebbero potuto avere una seconda chance. Come l'ho avuta io, lasciando il mio Paese. Più in generale, col mio film voglio soprattutto mostrare, oltre alla condizione femminile, la convivenza degli opposti: realismo e magia, arte e politica, arte e cinema. E come la bellezza incroci la violenza'.
Cosa pensa del ruolo della donna in Iran? E' cambiato dal lontano 1953, o è sostanzialmente immutato? 'Io non vedo affatto le donne del mio Paese come vittime. Anche se è vero che sono oppresse. Sono molto forti, non hanno mai fatto compromessi, hanno sempre combattuto per i loro diritti. Per le le donne iraniane sono sempre state fonte d'ispirazione, ma non per il semplice fatto che anch'io sono iraniana'.
Il loro coraggio è stato determinante, nella recente rivoluzione verde ... 'Vederle l'estate scorsa, così pronte alla sfida, mi ha fatto commuovere. Davanti a certe immagini, a quei volti bellissimi che protestavano, ho pianto'.
Ma non c'è solo il problema femminile: il suo è un Paese in cui l'opposizione viene ridotta al silenzio, in cui i talenti, tutti non allineati al regime, vengono sbattuti in prigione: come Jafar Panahi, Leone d'oro a Venezia per il suo Il Cerchio. 'La situazione di Panahi è molto grave. Oggi ho saputo che sua moglie, sua figlia e altre 14 persone che erano in casa sua al momento del blitz delle forze dell'ordine sono state rilasciate. Ma per lui sono davvero preoccupata: contro i talenti del Paese questo governo è capace di tutto, delle peggiori atrocità. Siamo terrorizzati per ciò che potrebbe accadere alle persone detenute. Perché questo governo vede la creatività come una minaccia: arrestare Panahi, o altri registi celebri, è un modo di dire a tutti gli altri artisti "state buoni, non vi ribellate"'.
Di fronte a questa repressione, cosa puà fare la comunità internazionale? 'Purtroppo quelli non ascoltano la voce dei media occidentali. Ma dei leader come Berlusconi, Sarkozy, Hillary Clinton devono per forza tenere conto. Le opinioni pubbliche occidentali dovrebbero perciò fare una forte pressione sui propri leader: serve una forte voce diplomatica. Se la Clinton decidesse di intervenire per Panahi, sono sicura che lo scarcererebbero'.
A suo giudizio la durezza del regime è strettamente collegata col fondamentalismo islamico? 'Prima della Rivoluzione islamica l'Iran era già musulmano, ma era una religione adattata alla cultura persiana, con contaminazioni di sufismo, misticismo, altre forme spirituali. Poi con la Rivoluzione la religione è diventata ideologia, si è politicizzata: e da qui è venuto tutto il male. Portando una rigidità a cui non eravamo abituati: la nostra è una cultura basata sulla musica, sulla poesia, sulla bella architettura'.
Adesso a cosa sta lavorando? 'Sono in trattative per acquisire i diritti di trasporre sul grande schermo il romanzo Il palazzo dei sogni di Ismail Kadarè: mi piace il modo in cui svela il potere dello Stato sull'individuo, e fa capire l'assurdità del fanatismo religioso'." (da Claudia Morgoglione, 'Io, dissidente iraniana ed eterna esule vi chiedo: aiutate i registi in carcere', "La Repubblica", 05/03/'10)

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