venerdì 26 marzo 2010

Così la filosofia spiega i miti d'oggi. C’è Platone dietro il pop


"«Perché parlare di tragico pare filosofico e parlare di comico no? Perché si può andare in cattedra con un libro su Heidegger e non con un libro sulla pornografia? Perché i miti sembrano una gran cosa e le barzellette no? Ed è così da sempre, o dipende da una involuzione moderna della filosofia?». Tempo fa, con questa incalzante serie di interrogativi, Maurizio Ferraris, Ugo Perone e Alberto Voltolini hanno introdotto un ciclo di incontri torinesi dedicato alla Filosofia Pop. Affermatasi ormai da vari anni in area angloamericana (ma sulle tracce dello strutturalismo), questa tendenza mira ad applicare gli strumenti della tradizione speculativa a esempi di cultura popolare, un po´ sul genere dei Miti d´oggi di Roland Barthes. Lo ha spiegato bene la studiosa statunitense Avital Ronell, affermando che, se Aristotele scrivesse adesso, si occuperebbe di soap opera.
L´idea di fondo della filosofia pop, insomma, è che non c´è niente di intoccabile: nulla di tanto alto da non poter essere criticato, nulla di così basso da non meritare una considerazione filosofica. Da qui l´idea di affrontare sia temi classici in forma non convenzionale, sia temi che hanno piena dignità teorica, ma che per qualche motivo sembrano marginali.
Grande fortuna ha avuto a tale riguardo il volume Matrix e la Filosofia (a cura di William Irwin e Vincenzo Cicero, Bompiani), dedicato a quel film dei fratelli Wachowski che fra l´altro, nel 2003, fu oggetto di un convegno nel segno di Platone cui parteciparono lo stesso Ferraris, Giulio Giorello, Diego Marconi e Carlo Sini. Sulla stessa linea si colloca il recente Stramaledettamente logico. Esercizi di filosofia su pellicola, a cura di Armando Massarenti (Laterza), che affronta alcune cruciali domande filosofiche basandosi su altrettante sceneggiature per il cinema. Tuttavia, chi si è più concentrato su questo filone di ricerca è stato forse Simone Regazzoni, prima con Harry Potter e la filosofia (Il nuovo melangolo), poi con La filosofia di Lost (Ponte alle Grazie), infine con un testo appena uscito a sua cura con il titolo Pop filosofia (Il nuovo melangolo). Gli undici capitoli del libro spaziano dall´analisi della pop music di Michael Jackson a quella della fiction televisiva italiana e straniera, passando attraverso l´esame di un film come Mucchio selvaggio di Sam Peckimpah.
Il lettore è avvisato: il gioco consisterà nel sottoporre prodotti di consumo al vaglio critico, per osservarne la configurazione, il funzionamento, l´ideologia sottaciuta. Non a caso, l´intera operazione si colloca nel solco di quanto scrisse Peter Sloterdijk: «Noi non dobbiamo essere titubanti nel pensare oltre i confini dell´attività accademica. La crisi complessiva dei nostri giorni dovrebbe spingere la filosofia che si è rinchiusa nel grembo delle università ad abbandonare il suo nascondiglio».
Vediamo allora come procede questa opera di smontaggio. Mettendo da parte alcuni saggi meno immediati per il lettore-spettatore italiano (che forse non sempre conosce certe serie televisive come Mad men, o certe graphic novel quali Asterios Polyp), cominciamo da Sex and the City. Nelle loro sedute di autocoscienza post-moderne, spiega Francesca R. Recchia Luciani, le quattro protagoniste femminili non fanno che cercare il senso della propria esperienza. Inoltre la modalità interrogativa con cui la giornalista Carrie avvia ogni suo articolo (mettendo così in moto il plot che caratterizza ogni singolo episodio), si mostra come un esercizio eminentemente filosofico. La sua è una vera e propria indagine di antropologia sessuale, e come tale viene esaminata dalla studiosa, vuoi ricorrendo alla riflessione offerta da Michel Foucault, Giorgio Agamben o Jean-Luc Nancy, vuoi accostandola ad alcuni esiti dell´arte contemporanea (Jeff Koons, Tracey Emin, Sophie Calle).
I nomi di Foucault e Agamben, insieme a quelli di Gilles Deleuze e Paolo Virno, tornano anche nell´esame di Romanzo criminale, il romanzo di Giancarlo De Cataldo in cui Lorenzo Fabbri scorge una autentica "cartografia politica" della forma-Stato e in genere della società di controllo. Con una specie di lunga zoomata, le vicende della banda della Magliana finiscono per incrociare le più sofisticate meditazioni sui dispositivi di repressione, tracciando un nero ritratto dell´Italia del secondo dopoguerra. Qualcosa di analogo si verifica anche nel saggio di Giulio Itzcovich sulla versione inglese del Grande fratello, mentre il saggio del collettivo Wu Ming 1 sul film 300 di Zack Snyder propone un´apertura differente.
Attraverso il concetto di "tecnicizzazione del mito" formulato da Furio Jesi, la pellicola finisce per svelare la sua natura sostanzialmente banalizzata, caratterizzata da una serie di falsificazioni storiche. Una volta superato lo sconcerto che nasce dallo squilibrio fra l´oggetto studiato e il mezzo impiegato nella sua analisi, prestazioni critiche tanto brillanti e acute portano a dire che la Pop filosofia ha vinto la sua scommessa. Tuttavia, sarebbe più giusto affermare che la sua funzione, per quanto utile come esercizio di decifrazione, appare decisamente secondaria rispetto a quella dell´elaborazione teorica vera e propria. Ben venga questo tipo di ricerche, a patto però di tenere ben distinte le due fasi del processo speculativo: una cosa è applicare uno strumento ai più diversi aspetti della cultura di massa, un´altra, assai più complessa, riuscire a forgiarlo." (da Valerio Magrelli, Così la filosofia spiega i miti d'oggi. C’è Platone dietro il pop, "La Repubblica", 26/03/'10)

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