giovedì 18 dicembre 2008

Dall'Ulisse dublinese di Joyce all'Antigone di Brecht contro le SS


"I classici sono tra noi. La loro presenza rivoluzionaria nella cultura e nelle emozioni stesse del Novecento è testimoniata da un'opera per tutte, che continuamente rimanda alla mitologia greca: L'interpretazione dei sogni di Sigmund Freud, uscita nel 1899, un anno prima che cominciasse il secolo delle ideologie, il secolo più violento della storia, il secolo della modernità, che per spiegare il nuovo, per prenderne le giuste distanze, ha dovuto aggrapparsi ai classici greci e latini, a volte unica ancora di salvezza di fronte al cambiamento. Ecco qualche spunto di lettura, nella consapevolezza che ciascuno può suggerire un proprio percorso alternativo. In principio fu Omero. 'Solenne e paffuto, Buck Mulligan comparve dall'alto delle scale, portando un bacile di schiuma su cui erano posati in croce uno specchio e un rasoio. Una vestaglia gialla, discinta, gli era sorretta delicatamente dalla mite aria mattutina. Levò alto il bacile e intonò: Introibo ad altare Dei'. L'avete riconosciuto? Ma sì, è l'incipit dell'Ulisse di James Joyce, dove Stephen Dedalus è Telemaco, Buck Mulligan, suo amico, è Antinoo, Leopold Bloom, il protagonista, è Ulisse, nei panni di un pubblicitario ebreo dublinese che si sente straniero in patria e ha sposato la carnale Molly, una Penelope non tanto fedele. Il capolavoro di Joyce, che si svolge in una sola giornata, dalla mattina a notte inoltrata, raccontando l'ordinario viaggio di un uomo dall'apparenza ordinaria per le strade e i bar di Dublino, è considerato l'omaggio maggiore del Novecento alla grande cultura classica. Non importa che lo scrittore irlandese componga un mosaico di stili, divertendosi a giocare con la prosa da feuilleton o con quella da manualistica, l'intenzione dichiarata è davvero fare i conti con l'epica omerica, che però dev'essere attualizzata e, se necessario banalizzata, per raccontare la vita e la sensibilità dell'uomo moderno. Modernità espressa soprattutto dal 'flusso di coscienza'.
Chi considerava l'Ulisse di James Joyce il punto di non ritorno dall'epica classica si è dovuto ricredere quando nel 1990, oltre settant'anni dopo i gorgoglii di Leopold Bloom, è comparso sulla scena internazionale il poema Oméros di Derek Walcott: ottomila versi divisi in sette libri e sessantaquattro capitoli che sono valsi al poeta caraibico (nato a Saint Lucia nel 1930) il massimo riconoscimento letterario, il premio Nobel, nel 1992. I meno informati, soprattutto in Italia, dove per leggere l'opera nella bella traduzione di Andrea Molesini per Adelphi, abbiamo dovuto attendere il 2003, hanno gridato al Carneade: chi è costui? Ma gli specialisti, come Sergio Perosa o Luigi Sampietro, ci avevano subito avvertito che Derek Walcott, uno splendido signore dagli occhi verdi e dalla carnagione di mulatto, negli anni Ottanta formava a Boston, con Joseph Brodskij e Séamous Heaney, il più incredibile trio poetico che si sia visto: all'università di Harvard, dove insegnavano, li chiamavano i magnifici tre. Sarebbero tutti stati insigniti del Nobel. Se Joyce e Walcott sono l'alfa e l'omega del rapporto che il Novecento ha avuto con Omero, una citazione a parte merita La guerra di Troia non si farà, dramma composto nel 1935 dal francese Jean Girodoux. 'Amiamo persino le lodi che non crediamo sincere. Il privilegio dei grandi è vedere le catastrofi da una terrazza' esclama uno dei protagonisti. È chiaro che qui non siamo nell'ambito dell'epica ma nel terreno molto più frequentato durante il Novecento: quello della denuncia. Per quanto riguarda l'Italia, il più omerico dei romanzi del Novecento può essere considerato Horcynus Orca di Stefano D'Arrigo, l'epico racconto del ritorno al paese natale Cariddi di 'Ndrja Cambria, marinaio della regia marina scampato alla carneficina della seconda guerra mondiale. Una Odissea cui l'autore lavorò per oltre vent'anni, dopo la pubblicazione di un capitolo nel 1960 sul Menabò di Elio Vittorini, e che uscì da Mondadori nel 1975. E come dimenticare, per arrivare ai nostri giorni, la rivisitazione dell'Iliade di Alessandro Baricco? Il suo testo pubblicato nel 2004 e composto per il teatro attraverso ventuno monologhi di altrettanti personaggi fa rivivere le voci di pace in un poema di guerra. Tanto che lo stesso Achille ammette: 'Niente, per me, vale la vita'.
Oltre l'epica. Per rispondere all'angoscia contemporanea il Novecento ha attinto soprattutto al repertorio dei tre grandi drammaturghi, Eschilo, Sofocle, Euripide. A chi ha in mente il volto di Maria Callas nel film Medea di Pier Paolo Pasolini, ispirato all'opera di Euripide, ricordiamo che Pasolini ha tradotto l'Orestea di Eschilo, l'unica trilogia del teatro classico giunta sino a noi per intero. La versione pasoliniana è stata quella più rappresentata nel teatro italiano del secondo Novecento. Ma il personaggio e il dramma più frequentato dalla grande drammaturgia è forse Antigone di Sofocle. L'eroina che si ribella al dittatore Creonte è stata rivisitata da Bertolt Brecht e da Jean Anouilh: entrambi hanno ambientato la tragedia nella seconda guerra mondiale. La scena iniziale in Brecht, che rivede Holderlin, è un'impiccagione nell'aprile 1945 a opera di SS. E lo scorso mese, la nuova versione di Séamous Heaney, The Burial at Thebes, rappresentata a Londra, è stata ambientata sotto la direzione di Walcott in un Paese latinoamericano retto da un dittatore. Poeti, dei ed eroi sono tornati. Alla fine gli eroi e lo spirito dei poeti classici rivivono nella modernità. Il secolo scorso si apre con l'invocazione di un grande poeta, Costantino Kavafis, nato ad Alessandria d'Egitto da una famiglia greca, che nei suoi versi ritrova la grazia degli antenati. Kavafis fa dire al suo Ulisse: 'Se per Itaca volgi il tuo viaggio / fa voti che ti sia lunga la via, / e colma di vicende e conoscenze'. Così l'incanto delle voci antiche rivive in un altro testo che fece scandalo in tempi di neorealismo imperante, Dialoghi con Leucò, che invece rimane uno dei testi più grandi di Cesare Pavese, in cui tornano a parlare Achille e Patroclo. La tedesca Christa Wolf, cresciuta nella dittatura del socialismo reale, dà invece voce a una moderna Cassandra, che si interroga sulla sensualità e sul ruolo delle donne, sul potere e la libertà. Un altro personaggio femminile rivive in un romanzo recente, Il salto di Saffo (Bompiani) di Erica Jong: la poetessa, prossima alla vecchiaia, vuole evitare l'onta di una vita senza eros, gettandosi da una rupe. E prima di compiere il gesto, ricorda i tanti amori che l'hanno condotta ai confini del mondo conosciuto e del piacere. Come concludere senza ricordare Le nozze di Cadmo e Armonia (Adelphi) in cui Roberto Calasso racconta, attraverso l'ultimo banchetto tra gli dei e gli uomini, la grande mitologia greca." (da Dino Messina, Dall'Ulisse dublinese di Joyce all'Antigone di Brecht contro le SS, "Corriere della Sera", 16/12/'08)

1 commento:

antonella zatti ha detto...

Mi permetto di segnalare sperando di far cosa gradita post del Khayyam’s Blog sullo scrittore siciliano e sull’opera di Vittorini:
http://khayyamsblog.blogspot.com/2009/04/limpegno-per-una-nuova-cultura-elio.html

Saluti, Antonella