sabato 20 dicembre 2008

Le lune di Giove di Alice Munro


"'Forse siamo solo degli anacronismi. No, non è il termine giusto. Volevo dire vestigia. In un certo senso lo siamo già. Vestigia del passato'. Non è un pensoso intellettuale a parlare, ma una solida venticinquenne, Ruth, alta 'quasi un metro e ottanta'. Contava di fare l’attrice, ma ha rinunciato, e 'adesso studia da insegnante per bambini con problemi psichici'. Ci troviamo in campagna, nel cuore dell’Ontario, in Canada, un luogo dagli ampi spazi e dagli infiniti silenzi. Ruth partecipa a una festicciola famigliare: per essere precisi, a una Festa di fine estate, secondo il titolo del racconto di Alice Munro di cui è una dei personaggi. Sembrerebbe una circostanza occasionale, ma in realtà la grande scrittrice canadese mette in scena qui uno di quei 'processi di ricerca', come li ha appropriatamente definiti W. H. New, nei quali 'sono coinvolti personaggi e narratore'. Ma soprattutto, come è peculiare dei suoi racconti, si affida a quella circostanza per offrirci un autentico microcosmo. I personaggi chiave sono generalmente donne, come in questo racconto, ma gli uomini recitano una parte decisiva che definirei di sponda, in genere incapaci di sentimenti ricchi, creativi, e invece persuasi del loro ruolo di protagonisti, non di rado ottusi. La festa, nella sua scansione, consente alla scrittrice di presentarci la storia insieme fattuale e interiore, vissuta in una prolungata quotidianità, caratterizzata da insuccessi esistenziali ormai introiettati, portati come cicatrici vecchie e nuove. Sono queste - per rifarci ancora alle osservazioni di New, 'le ambiguità psicosessuali' caratteristiche della narrativa della Munro, le complesse e spesso contraddittorie relazioni sociali, vertiginosamente trasferite nel linguaggio. Uno dei vertici di simili ambiguità si coglie in un altro racconto, Storie finite male, dove essa acquista un risvolto inquietantemente ironico, quasi beffardo. Qui la scrittrice manovra una storia dentro la storia, fin quasi a produrre un caleidoscopio al tempo stesso letterario ed esistenziale, fino alla memorabile chiusura. Douglas, personaggio maschile, tradisce una insicurezza che rasenta l’inconsistenza mascherandosi di velleitarie certezze. L’altro uomo, Leslie, 'è freddo, ostinato, superficiale, avaro d’affetto, onesto, sincero, nobile d’animo e vulnerabile'. Ancora una volta, sono le donne, le due mogli, la narratrice in prima persona e la sua amica Julie, a tenere in pugno le fila della storia, giocando tra realtà e finzione, quella dei libri, sui quali gradualmente la vicenda si snoda, anche tenendo conto che la prima è di professione bibliotecaria. Sulle ceneri della loro delusione esistenziale, del loro matrimonio, allora, le due donne possono affidarsi alla immaginazione, ricostruirsi nel segno della fantasia. Sarà lecito, e possibile, rimuovere le storie finite male e inventarne nelle nuove, sanzionate dalla prevedibile conclusione: 'E vivere tutti felici e contenti'. Uno dei culmini si raggiunge nel racconto che chiude la raccolta e le fornisce il titolo,
Le lune di Giove (The Moons of Jupiter). Il referente drammatico è un uomo, un anziano ricoverato in ospedale per subire un delicato intervento di cardiologia dal quale potrebbe non riprendersi e sopravvivere. Ancora una volta la prospettiva è fornita da due donne, la figlia e una nipote, poste di fronte alle antinomie, addirittura agli enigmi, della loro esistenza, e insieme della morte. Trova spazio una visita al museo, dove è possibile ammirare un planetario, e dunque un ulteriore trascendimento della realtà, prima di visitare ancora il paziente in ospedale. Quasi simbolicamente, le due visite si incrociano, e segnano un momento cruciale, un’epifania, nella quale confluiscono presente e passato, nel segno di una lucida intelligenza. Ma la vita è fatta anche di piccoli gesti quotidiani, mai di fiammate tragiche. Alla fine del racconto, la protagonista si recherà a prendere un caffè. Mai si configurerà un’esasperazione tragica; sempre trionferà l’universalità del quotidiano. La Munro non conosce rivali nella riduzione della storia, dello spessore tragico, alla consumazione di una simile, universale quotidianità, senza cercare consolazioni o ricette. Grazie a Susanna Basso per la splendida resa italiana." (da Claudio Gorlier, Quante donne alla festa dell'ambiguità, "TuttoLibri", "La Stampa", 20/12/'08)

Nessun commento: