mercoledì 10 dicembre 2008

Nel paese dei ciechi di H. G. Wells


"Esistono due tipi di lettura. La prima è la lettura interminabile: la quale si realizza, per esempio, leggendo le quattordici o quindicimila pagine della Comédie humaine di Balzac. Non finisce mai. Quando abbiamo terminato l´ultima riga - e i romanzi si possono leggere soltanto nell´ordine stabilito da Balzac - abbiamo già dimenticato il primo volume, e dobbiamo ricominciare da capo. Balzac racconta tutta la società, e nelle vene di questa società e nei suoi abissi, scopre le leggi dell´universo. Nulla manca: dalle fatiche del contadino alla ricerca dell´assoluto, dalle cortigiane di Parigi al 'giglio della valle', dall´androgino al giornalista, da Napoleone ai soldati francesi, dalla pelle di bue alla magica pelle di zigrino. Il movimento del libro conduce verso il centro, e dal centro riconduce alla periferia, e così sempre di nuovo. I personaggi ritornano, i romanzi si intrecciano; e ciò che è diverso e molteplice viene accompagnato, con mano ferma, verso l´Uno. Chiamerei folgorante un altro tipo di lettura, come quella di Nel paese dei ciechi (The Country of the Blind) (Adelphi, nell´ottima traduzione e curatela di Sandro Modeo e di Franco Salvatorelli): un meraviglioso racconto che H. G. Wells scrisse nel 1904. Sono trenta pagine: anche se procediamo lentamente, senza smarrire nella memoria il minimo particolare, in un´ora e mezza le abbiamo finite, e veniamo colmati da una mite beatitudine. Il testo è insieme visibile e inverosimile: reale e simbolico; concentratissimo e sciolto. Non assomiglia a nessun altro testo di Wells. Forse egli ebbe nella mente un racconto di Hawthorne, o una prosa giovanile di Kipling, lontanissimi dal suo mondo. Un tempo il Paese dei Ciechi, una vallata tra le più selvagge solitudini delle Ande, era aperta agli uomini. Se si attraversavano gole spaventevoli e gelidi passi, si giungeva nei suoi prati tranquilli. Quando avvenne l´eruzione del Mindobamba e un fianco dell´antica giogaia smottò con un boato, il Paese dei Ciechi rimase precluso all´esplorazione. La vallata era una specie di Eden: acqua dolce, pascoli, clima costante, fertile suolo bruno, grandi boschi di pini; e, in alto, vaste pareti di roccia grigioverde sormontate da scogli di ghiaccio. In questa vallata una strana malattia rendeva ciechi tutti i neonati, mentre i giovani vedevano molto confusamente e i vecchi brancolavano nell´oscurità. Dopo quindici generazioni di cecità, un montanaro di Quito, Nuñez, che aveva visto il mondo e leggeva libri, precipitò per trecento metri e atterrò in un turbinio di neve su un pendio innevato. Poi si addormentò. La mattina, svegliato da un canto di uccelli negli alberi, arrivò a un ripido boschivo, dove scorse un gruppo di casupole di pietra. La prateria era irrigata con grande sapienza da un canale: le case erano schierate in doppia fila continua nella via centrale di uno stupefacente lindore; uomini, donne, bambini stavano adagiati, come per una siesta, su cumuli di erba. Era il paese dei ciechi. Nuñez scorse, in tutti i visi, palpebre rossastre, chiuse e incavate; e comprese che, all´interno, i globi oculari erano disseccati e svaniti. Gli altri sensi avevano sostituito la vista: i ciechi si toccavano con le mani morbide e delicate, si annusavano lentamente, parlavano con voce sommessa, così che la voce di Nuñez sembrava rude e grossolana: l´immaginazione dei ciechi era nutrita soltanto di ciò che portavano loro le orecchie e i polpastrelli. Vedevano attraverso le notizie del suono e del tatto. Queste pagine iniziali di Wells sono di una sensibilità straordinaria: palpiamo e odoriamo l´atmosfera della cecità, la quale impregna i volti, le case e il paesaggio.
Mentre viveva tra i ciechi, Nuñez si trasformò, avvicinandosi insensibilmente alla loro condizione. Vedeva, ma era come se non usasse gli occhi. Quando parlava con i ciechi, ammetteva che la parola vedere non significava niente; e il mondo lontano, ardente e luminoso dei veggenti gli sembrava una favola da dimenticare. C´era un´eccezione: una ragazza, Medina-Saroté: le sue palpebre chiuse, che non erano rosse e incavate come le altre, parevano sempre sul punto di riaprirsi e di vedere: aveva grandi ciglia, che là venivano considerate un grande difetto: il suo viso era tenero e luminoso; e la sua voce forte interrompeva il grigio silenzio dei ciechi. Per questo, Medina-Saroté era respinta e rifiutata dagli altri. Nuñez la trovò bellissima: la cosa più bella dell´universo; le faceva piccoli servizi, le stringeva la mano, l´adorava, le diceva di amarla; e le descriveva la sua terra, la terra dell´occhio e della visione. Nuñez avrebbe voluto sposarla, ma i vecchi ciechi considerarono impossibile il matrimonio, a meno che egli si lasciasse accecare. Allora, pensarono, anche lui sarebbe divenuto un cittadino esemplare, senza assurdi desideri di vedere e di descrivere la visione. Ma Nuñez era ancora attratto dal mondo visibile: amava i fiori, i licheni tra le rocce, un chiaroscuro su una pelliccia bruna, il cielo lontano, la vagante lanugine delle nuvole, il viso dolce e sereno di Medina-Sarotè, le sue labbra gentili, le sue care mani. Come rinunciare alla visione? E, d´altra parte, come fare a meno degli occhi incerti, delle ciglia, della tenerezza nascosta della ragazza? Per una settimana Nuñez non dormì: meditava, vagava senza meta, cercando di concentrare la mente sul suo dilemma. Vide un´ultima volta la ragazza, e la baciò. Poi alzò gli occhi e scorse il mattino: il mattino come un angelo dall´armatura d´oro, che discendeva dai pendii; il ghiaccio e la neve, e la loro bellezza. Pensava alla sua terra, 'gloriosa di giorno, mistero luminoso di notte': i palazzi, le fontane, le statue, le case bianche, e poi lontano il mare senza confini, migliaia di isole, le navi in giro, e l´immenso arco azzurro del cielo, un abisso di abissi, dove si libravano ruotando le stelle. Fuggì, arrampicandosi tra le rocce, e giacque sorridendo sul suolo. Ecco, accanto al suo capo, una vena di minerale verde che affiorava nel grigio, lampi di sfaccettature cristalline, un lichene aranciato, le ombre profonde, blu e violette, delle gole montane. Nuñez era felice di essere tornato nel mondo della visione: sebbene il tramonto diventasse notte, e il visibile fosse di nuovo perduto." (da Pietro Citati, L'amore nel paese dei ciechi, "La Repubblica", 09/12/'08)
The Country of the Blind, and Other Stories by H. G. Wells (Gutenberg.org)

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