lunedì 1 dicembre 2008

Lirici contro grandi Evasori


"Ci troviamo, di fronte alla narrativa italiana degli ultimi venticinque anni, nella stessa condizione degli eretici dell'Inferno dantesco. 'Noi veggiam, come quei c'ha male luce, / le cose' disse 'che ne son lontano'. Così spiega Farinata: ci comportiamo come i presbiti, che vedono le cose lontane, ma non le vicine. Sarà per questo che, rispetto ai predetti venticinque anni, ci sembra molto maggiore la narrativa dei venticinque precedenti? Arricchita fra l'altro, dall'apporto di chi, in realtà, ha scavalcato diversi periodi, scrivendo magari per mezzo secolo e collocando, comunque, negli anni 1957-'82, alcuni fra i suoi libri più belli. E sarà il caso, in questa sede, almeno per scrupolo documentario, di ricordarli, questi nomi: tutti operanti in una prospettiva soprattutto lirico-esistenziale, pur con toni e sfumature diversi. Che ci sembra il tratto vincente dell'ultimo mezzo secolo della nostra letteratura. Si va, dunque, da Bassani a Parise, a Soldati, a Berto. E ancora: la Morante, la Ginzburg, la Romano, Cassola, Bilenchi, la Salvago Raggi. E a loro modo, lirici furono lo stesso Primo levi, Rigoni Stern, un certo Pratolini. Mentre lo stesso Pasolini oggi ci pare un lirico camuffato da realista, e in questa chiave vanno letti i suoi romanzi. Dalla matrice Calvino deriva invece, o per lo meno le si affianca, una tendenza sperimentale anni Settanta, oggi in gran parte ridimensionata, che ha avuto in Celati uno degli autori di spicco. Mentre fa storia a sé un grande eccentrico postdossiano e postgaddiano come Arbasino, che pure iniziò nel 1957 con il pastiche erudito-lirico dei racconti di Le piccole vacanze. Scrittori che il tempo non ha usurato. Ma veniamo a tempi più vicini, sfidando il pericolo della presbiopia. E dicendo che non ci commuove il rigoglio quantitativo della narrativa italiana di oggi, né la caccia del mercato al bestseller a tutti i costi (Piperno, Con le peggiori intenzioni, 2005; Giordano, La solitudine dei numeri primi, 2008). Non giureremmo che possano passare alla storia. O i bestseller gialli di Giorgio Faletti. La miglior narrativa italiana di oggi? Non è fatta di autori di scuola o tendenza. Non certo la Gioventù cannibale (1996), frutto di un'accorta strategia di marketing. Oggi la nostra attenzione al venticinquennio va su autori singoli isolati, sparpagliati, atomizzati; così come è polverizzata la società. Sicché è impossibile tracciarne una piccola storia letteraria, alla maniera desanctisiana. Un tempo, il romanzo realista e naturalista dell'Ottocento rispecchiava l'ascesa della borghesia e il suo bisogno di cultura e di emancipazione attraverso i libri. Oggi la più parte dei romanzi servono al consumo e alla pura evasione. Attività legittime, ma che finiscono lì. E' perciò che imperversa una moda che predilige l'affermazione di alcuni generi. Il romanzo giallo. Il romanzo storico (meglio il feuilleton storico). La chick lit. Fioriture che trasmettono emozioni epidermiche. Ci sono eccezioni? Certo, specie nel settore dei gialli, il più affollato. E così, anche se siamo piuttosto sazi dei romanzi che Andrea Camilleri continua a riversare sul mercato, dobbiamo ammettere che lo stesso Camilleri a suo tempo ci ha dato libri gradevoli e divertenti. Ciò vale anche per la serie che Gianrico Carofiglio ha dedicato all'avvocato-investigatore Guido Guerrieri. Ciò vale ancor più per il giovane Patrick Fogli: immenso e travolgente, i suoi romanzi sono fiumi lutulenti che portano con sé anche pepite d'oro. Fogli è comunque l'unico che abbia capito, in Lentamente prima di morire (2006), L'ultima estate di innocenza (2007) e Il tempo infranto (2008) che, come ha detto Vargas Llosa, 'nel romanzo, a differenza di altri generi letterari, la quantità è un ingrediente della qualità'. Basta dire che il suo meglio, L'ultima estate di innocenza, è di ben 572 pagine. E ne esce un romanzo totale. Proprio a questa rara avis del romanzo totale di Fogli, che è molto al di là del giallo, si può connettere il suo opposto, di altrettanto interesse. Un filone sotterraneo e deperibile ed episodico, che riaffiora qua e là nel tempo, traendo origine dal modello del minimalismo americano. Promotore, da noi, Andrea De Carlo, con il notissimo Treno di panna (1981). Iper-realista, minimalista e algido. Con un personaggio fissato sui particolari del mondo, oggetti, dettagli fisici, piccoli sentimenti che affiorano. Forse De Carlo, che più avanti non si è mai ripetuto a questo livello, ma che è narratore piacevole, ha aperto, se non una strada, almeno un piccolo sentiero. Percorso da alcuni buoni autori. Gaetano Cappelli, i cui libri migliori sono i primi - lievi, ironici, adolescenziali -, Floppy Disk (1988), Mestieri sentimentali (1991), Volare basso (1994). Annalucia Lomunno che, integralmente minimalista, ha saputo riprodurre in Rosa sospirosa (2001) e Nero Sud (2003), con piccoli tratti ironici, vezzi e vizi della provincia meridionale. [...]" (da Giovanni Pacchiano, lirici contro grandi Evasori, "Il Sole 24 ore Domenica", 30/11/'08))

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