Paura, reverenza, terrore. Rileggere Hobbes oggi di Carlo Ginzburg (Monte Università Parma)
"Il frontespizio del Leviatano raffigura il 'dio mortale', lo Stato, con la spada in una mano, il pastorale nell’altra. Per Hobbes il potere dello Stato non poggia solo sulla forza, ma sulla soggezione, awe: la parola che abbiamo visto comparire in posizione strategica nei passi del Leviatano dedicati all’origine della religione e dello Stato. Hobbes aveva usato la stessa parola, come verbo (awed) nella sua traduzione della pagina di Tucidide sugli effetti della peste. 'La paura degli dèi e le leggi umane non tenevano più a freno' aveva scritto Tucidide. Hobbes aveva tradotto: 'non tenevano più in soggezione'. La spiegazione di questo scarto rispetto al testo greco va cercata probabilmente nelle parole immediatamente precedenti. Tucidide aveva parlato di 'paura degli dèi' (theon de phobos). Allorché tradusse 'fear of the gods', Hobbes avrà certamente pensato che la parola fear ricorre continuamente, come sostantivo e come verbo, nella traduzione inglese della Bibbia detta di Giacomo I, associata a Dio e al 'timor di Dio'. Ma il timor di Dio non è identico alla paura. L’espressione timor Dei, usata nella traduzione latina di san Girolamo, che a sua volta ricalcava la traduzione greca della Bibbia ebraica, detta dei Settanta, non trasmette l’ambivalenza racchiusa, nella Bibbia ebraica, dalla parola corrispondente: yir’ah. Come ho appreso dagli informatori che sono venuti in soccorso della mia ignoranza dell’ebraico yir’ah esprime al tempo stesso paura e soggezione. [...] Certo più vicina all’ambivalenza di yir’ah era la parola awe, che in alcuni passi della Bibbia inglese di Giacomo I designa l’atteggiamento dell’uomo verso Dio (Ps. 4, 4; 33, 8; 119, 161; Prov. 10). Lo mostrano gli aggettivi legati al sostantivo awe: awesome, che incute riverenza, e awful, terribile. Forse Hobbes sentì il bisogno di inserire, nella sua traduzione del passo di Tucidide, dopo la parola fear, la parola awed per comunicare la contraddittoria complessità degli atteggiamenti suscitati dalla religione. Forse le riflessioni di Hobbes sulla paura (fear) cominciarono qui. Ma come potremmo tradurre yir’ah in italiano? L’antica parola terribilità – quella che Vasari riferiva a Michelangelo – ci mette sulla strada giusta. Potremmo usare, al posto di soggezione, la parola 'reverenza', che deriva dal latino vereor, temere. Ma forse la vera traduzione di awe è terrore. Ce lo suggerisce indirettamente Hobbes: '... Attraverso questa autorità di cui è stato investito da ogni singolo individuo nello stato, esso [...] è in grado di usare a tal punto il potere e la forza che gli è stata conferita, da piegare col terrore la volontà di tutti e fare in modo da indirizzare la volontà di ognuno al mantenimento della pace interna e all’aiuto reciproco contro i nemici esterni'. Tutti gli interpreti spiegano che Hobbes inaugura la filosofia politica moderna proponendo per la prima volta un’interpretazione secolarizzata dell’origine dello Stato. La lettura che ho proposto qui è diversa. Per Hobbes il potere politico presuppone la forza, ma la forza da sola non basta. Lo Stato, il 'dio mortale' generato dalla paura, incute terrore: un sentimento in cui si mescolano in maniera inestricabile paura e soggezione. Per presentarsi come autorità legittima lo Stato ha bisogno degli strumenti (delle armi) della religione. Per questo la riflessione moderna sullo Stato s’impernia sulla teologia politica: una tradizione inaugurata da Hobbes. [...]
Qualcuno ricorderà il bombardamento di Baghdad del marzo 2003. Il nome in codice dell’operazione era Shock and Awe. La traduzione apparsa in alcuni giornali italiani fu 'Colpire e terrorizzare'. In un articolo apparso su "Il Manifesto" il 24 marzo 2003 Clara Gallini, forte della sua competenza di studiosa di storia delle religioni, osservò che quella traduzione 'non restituiva appieno la sinistra complessità della locuzione originaria': essa andava riferita non a un terrore in senso psicologico ma a un 'terrore sacro'. Lo stesso articolo ricordava un passo della Bibbia – Esodo XXIII, 27 – commentato nel famoso libro di Rudolf Otto intitolato Il sacro: 'manderò il mio terrore davanti a te' dice il Signore 'e metterò in rotta ogni popolo in mezzo al quale entrerai'. In questo caso la parola ebraica (emati) esprime, a quanto mi vien detto, un terrore privo di ambivalenza. Rudolf Otto ricordava Behemoth e Leviatano, i mostruosi animali descritti nel libro di Giobbe, come esempi della terribile ambivalenza del sacro. Ma né Rudolf Otto né Clara Gallini ricordarono Hobbes. L’allusione a Hobbes nell’espressione Shock and Awe era stata invece immediatamente identificata in un saggio di Horst Bredekamp, autore di un importante libro dedicato al frontespizio di Leviathan e alle sue implicazioni. Bredekamp partiva da Hobbes per arrivare al presente, all’influenza esercitata dalle idee di Leo Strauss sui neo-conservatori americani. In una direzione simile si è mosso, in maniera meno approfondita, Richard Drayton, in un articolo apparso sul "Guardian" il 29 dicembre 2005, dedicato ai neoconservatori americani e ai disastrosi risultati della loro politica estera. Drayton osservò che Paul Wolfowitz, Richard Perle e i loro amici, ispirandosi all’insegnamento di Leo Strauss, si erano proposti di adattare Hobbes al XXI secolo, diffondendo terrore tecnologico per creare sottomissione. Ma sia Shock and Awe sia Hobbes, commentò Drayton, hanno finito col ritorcersi contro chi li aveva evocati. Ma la partita è tutt’altro che chiusa. Harlan Ullman, l’analista militare americano che nel 1995 aveva lanciato la parola d’ordine Shock and Awe, aveva citato la bomba atomica lanciata su Hiroshima come modello di questa strategia. Dopo l’11 settembre 2001 Ullman è tornato alla carica (è il caso di dirlo). La conclusione della guerra contro il terrorismo globale, ha spiegato, è a portata di mano. 'Combinando conoscenze quasi perfette, rapidità, esecuzione brillante e controllo dell’ambiente' ha scritto Ullman 'possiamo infliggere al nemico una sconfitta rapida e decisiva con il minimo numero di perdite possibile'. Naturalmente Ullman pensa solo alle perdite americane: quelle del nemico (civili compresi) devono essere invece massimizzate. Ma le sanguinose notizie che arrivano dall’Iraq smentiscono quasi ogni giorno la tracotanza militar-tecnologica di personaggi come Ullman.
Viviamo in un mondo in cui gli Stati minacciano il terrore, lo esercitano, talvolta lo subiscono. È il mondo di chi cerca di impadronirsi delle armi, venerabili e potenti, della religione, e di chi brandisce la religione come un’arma. Un mondo in cui giganteschi Leviatani si divincolano convulsamente o stanno acquattati aspettando. Un mondo simile a quello pensato e indagato da Hobbes. Ma qualcuno potrebbe sostenere che Hobbes ci aiuta a immaginare non solo il presente ma il futuro: un futuro remoto, non inevitabile, e tuttavia forse non impossibile. Supponiamo che la degradazione dell’ambiente aumenti fino a raggiungere livelli oggi impensabili. L’inquinamento di aria, acqua e terra finirebbe col minacciare la sopravvivenza di molte specie animali, compresa quella denominata Homo sapiens sapiens. A questo punto un controllo globale, capillare sul mondo e sui suoi abitanti diventerebbe inevitabile. La sopravvivenza del genere umano imporrebbe un patto simile a quello postulato da Hobbes: gli individui rinuncerebbero alle proprie libertà in favore di un super-stato oppressivo, di un Leviatano infinitamente più potente di quelli passati. La catena sociale stringerebbe i mortali in un nodo ferreo, non più contro l’empia natura, come scriveva Leopardi nella Ginestra, ma in soccorso di una natura fragile, guasta, vulnerata. Un futuro ipotetico, che speriamo non si verifichi mai." (da Carlo Ginzburg, In questo mondo di Leviatani, "La Stampa", 04/12/'08)
1 commento:
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