lunedì 15 dicembre 2008

A gonfie vele di Isaiah Berlin


"Nella prima delle cento lettere dell’odierna raccolta intitolata A gonfie vele (Lettere 1928 - 1946, trad. Flavio Cuniberto, Adelphi), Isaiah Berlin ha vent’anni e ha appena vinto una borsa di studio per il Corpus Christi College di Oxford; nell’ultima non ne ha ancora quaranta, ma la sua formazione intellettuale si è, a grandi linee, conclusa. Il suo prestigio accademico è indiscusso, i suoi primi libri hanno attirato attenzione; e il brillante esordio nel campo della filosofia è stato coronato da un quinquennio di attività pratica a New York e a Londra, come incaricato dal Foreign Office di svolgere propaganda a favore dello sforzo bellico inglese, prima per convincere gli Stati Uniti a entrare in guerra, quindi per favorire i rapporti tra le due nazioni, infine per promuovere la causa del nascente Stato d’Israele. In questo settore gli appassionati di storia contemporanea troveranno preziose testimonianze sulle idee e sulle notizie che circolavano allora, riferite da una testa lucida, informata e concreta, accanto a vivide descrizioni di fette di mondo - Gerusalemme e la Palestina, l’Irlanda, la Mitteleuropa, New York - come allora apparivano. Per gli altri, vale a dire per i frequentatori del saggista, il libro è soprattutto affascinante per l’autoritratto involontario della personalità di costui, un corrispondente eloquentissimo e generoso, dalla curiosità instancabile verso tutto quanto attira la sua attenzione, e dotato di una strepitosa capacità di penetrare nelle persone e di ritrarle. Sotto questo aspetto Berlin non cambia, i suoi giudizi sono già più che maturi quando lui è ancora un ragazzo; basta prendere il confronto che fa tra Proust e Henry James, di cui ha letto un solo romanzo, Gli ambasciatori, dopo le insistenze del suo amico Stephen Spender ('In James la grana è sempre troppo fine, l’analisi è sempre un po’ troppo comoda, come un’autopsia ...'); oppure quello, ancora più estroso, tra Stefan George e Wagner ('George, come Wagner, non riesce a provare direttamente le sue emozioni, ma ASPIRA a provarle sulla base di certi presupposti intellettuali, col risultato di chiedersi, come Wagner: che cos’è la passione erotica? che cos’è la gelosia? E a partire da queste domande costruisce poi, faticosamente, un complesso edificio, che è di fattura miracolosa, pieno di genio, e tuttavia orrido e irreale come una sorta di parafrasi: un tentativo di descrivere ciò di cui non ha mai fatto l’esperienza, un eterno avvicinarsi a qualcosa che gli è estraneo (mentre Verdi, molto più rozzamente, mette giù quello che sa davvero)'. Questi e molti altri sono incontri con dei libri; quelli con le persone autentiche non sono da meno. Da Virginia Woolf, che viene in visita al College, Berlin resta incantato come davanti a una creatura divina; di Gertrude Stein, in un’occasione analoga, ammira la prontezza delle risposte agli studenti. L’Oxford degli Anni Venti e Trenta era uno dei centri intellettuali del mondo, e mentre si accinge a diventarne uno dei punti di riferimento (nelle lettere c’è anche molta politica universitaria, una delle ultime raccomanda con passione un linguista di rara competenza che si chiama Roman Jakobson) Berlin ha contatti con tanti monumenti viventi, non tutti altrettanto degni della sua ammirazione incondizionata, vedi i ritratti piuttosto caustici di Hugh Walpole o di Aldous Huxley. Un altro personaggio che attraversa queste pagine e che in seguito sarebbe diventato leggendario è l’aristocratico tedesco Adam von Trott zu Solz, impiccato da Hitler come coautore del fallito attentato della Rosa Bianca. Berlin era stato suo amico sviscerato negli anni in cui anche costui era borsista a Oxford, ma poi non aveva condiviso una sua lettera al Manchester Guardian dove, era il 1934, tentava di minimizzare le persecuzioni naziste degli ebrei. In un intelligente, ben orchestrato romanzo a chiave, La canzone prima che sia cantata (trad. di Isabella Zani, Baldini Castoldi Dalai), Justin Cartwright lavora su questo rapporto, immaginando che uno degli ultimi allievi di Berlin (che qui si chiama Mendel) ne riceva in lascito le carte, con la missione di far luce sulla storia della sua amicizia con Axel von Gottberg (=von Trott), la cui tragica conclusione gli ha lasciato molti rimorsi. Seguendo uno schema non nuovo ma maneggiato con molta scioltezza, Cartwright alterna le vicissitudini personali del ricercatore, il cui matrimonio già in crisi si conclude male, con le tappe della ricerca, via via che vengono alla luce lettere, vere o finte, confessioni di superstiti ormai vecchissimi, e da ultimo addirittura un filmato, raccapricciante, con la crudele esecuzione dell’eroico Axel. La tesi di Cartwright è che il mondano, scintillante Mendel abbia sbagliato dalla sua torre d’avorio a non capire la sincerità della crisi di Axel, che sabotò quando costui si recò negli Usa per cercare appoggi alla resistenza contro Hitler. E’ una tesi che minimizza un aspetto fondamentale della personalità di Berlin, ebreo russo nato a Riga, inglese solo dall’età di sei anni, e da subito con le idee chiarissime sull’impossibilità di venire a patti col nazismo; ma il romanzo è, appunto, un romanzo, e come tale non delude." (da Masolino D'Amico, Le passioni di Berlin, "TuttoLibri", 13/13/'08)

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