Biblioteca civica "MINO MILANI" bibliogarlasco@yahoo.it tel. 0382/801009 "Le paradis, à n'en pas douter, n'est qu'une immense bibliothèque" (Gaston Bachelard) SELEZIONE DI ARTICOLI SULL'UNIVERSO-LIBRO
martedì 24 agosto 2010
Mal d'archivio. Aiuto, stiamo perdendo la memoria digitale
"Una sindrome si aggira per il mondo: il mal d'archivio. E' una malattia endemica nell'habitat umano, visto che le civiltà scompaiono e le biblioteche bruciano, ma da qualche parte ha subito una mutazione in seguito al passaggio dalla carta al digitale, e ha tre cause principali.
Primo, la deperibilità dell'hardware: i papiri sono arrivati sino a noi, i cd si smagnetizzano che è un piacere. Secondo, l'iper-evolutività del software: noi usiamo l'alfabeto dei Fenici, ma vai a leggere un testo di dieci anni fa in Wordstar. Terzo, l'inflazione per iper-riproducibilità dei documenti: portando all'estremo un processo già avviato con le fotocopie, il documento perde l'aura che deriva dalla sua unicità, e alla fine niente si conserva, o tutto si conserva in maniera casuale.
Il male può colpire archivi grandi e piccoli. Con i piccoli è inesorabile: lettere sbiadite e cartoline ingiallite possono arrivare ai nostri nipoti in scatole e cassetti, ma non un byte di memoria dei nostri computer o telefonini, a meno che i nostri figli non facciano gli archivisti e abbiano tempo da perdere. Però anche i grandi archivi sono minacciati, e non solo dai bombardamenti e dai roghi, ma banalmente da tagli e licenziamenti. Non dimentichiamo infatti che l'analogico ha un costo di produzione che può essere elevatissimo (incidere una lapide richiede tempo e denaro), ma un costo di conservazione relativamente modesto, nel caso dei libri, che comunque abbisognano di ripari dalle intemperie, o addirittura nullo, per l' appunto nel caso della lapide, che non ne ha bisogno: la conservazione è assolutamente passiva. Il digitale è l'esatto contrario: costi di produzione irrisori, e in costante diminuzione, ma costi di conservazione in crescita progressiva, per i motivi che abbiamo visto, e anche perché un libro può essere conservato da un analfabeta, come i codici di Timbuctu, protetti dal clima secco del deserto, mentre un file richiede competenze tecnologiche elevate e costantemente aggiornate. Si disegna così una curva entropica: più passa il tempo, più la manutenzione costa, più scompaiono i diretti interessati. E questa circostanza economica appare alla fine molto più decisiva di quella puramente tecnologica, perché in teoria si può salvare tutto, in pratica tutto può essere perso. Si pensi ad esempio al cosiddetto salvataggio "cloud", in cui i nostri dati vengono affidati a grandi organizzazioni che conservano in remoto; il vero problema è però non tanto che i nostri archivi cadono in mano d'altri, quanto piuttosto che questi altri possono cambiare (una azienda può venire comprata da un'altra, e con lei il nostro archivio) o possono cessare di esistere (l'azienda che salva in remoto fallisce, e buonanotte).
Con gli e-book, questo problema si estende all'editoria: Aldo Manuzio ha cessato le pubblicazioni da parecchi secoli, ma le sue edizioni sono ancora lì. Non lo stesso accadrebbe con un e-book. Sotto il profilo economico, dunque, il digitale è come il nucleare: molto conveniente, ma solo a condizione che si sia nelle condizioni di garantire una elevata manutenzione. Altrimenti bisogna prepararsi a delle catastrofi documentali parallele alle catastrofi ecologiche, e altrettanto gravi, perché dalla conservazione degli archivi dipende la sopravvivenza non solo della cultura, ma della intera società.
Che fare? Bloccare lo sviluppo del digitale è una battaglia persa e insensata, anche perché la nostra cultura è ormai intrisa in modo irrinunciabile dal digitale, che è il nostro presente e il nostro futuro. Si tratta piuttosto di trovare i modi per far sì che questo presente e questo futuro possano diventare un passato, cioè durare nel tempo. In questa partita, un ruolo centrale può essere svolto proprio dalle biblioteche, che diventano più cruciali che mai al tempo dell'e-book, come argomenta Antonia Ida Fontana, direttrice della Biblioteca Nazionale di Firenze: «Gli autori e gli editori, forti anche dell'esempio di quanto avviene in campo musicale, debbono vedere nelle biblioteche un alleato in grado di far conoscere il loro lavoro anche quando cessano le campagne promozionali. Attraverso i cataloghi i lettori possono richiedere di stampare o di scaricare i file, con un pagamento che può apparire modesto, a livello di singolo, ma che consente in realtà di trasformare in long-seller anche i libri la cui vita sugli scaffali delle librerie si calcola in pochi mesi». Questo vale, a maggior ragione, per la conservazione, dove «attraverso procedure studiate a livello internazionale, le istituzioni della memoria si fanno carico della conservazione per i secoli futuri della nostra cultura».
Vorrei aggiungere due considerazioni. La prima è che la collaborazione tra biblioteche e web diventa tanto più cruciale nel momento in cui tutte le procedure della pubblica amministrazione si svolgono online, e dunque devono trovare una tutela nel tempo. La seconda è che questo sistema si può estendere agli archivi individuali, i più esposti al mal d'archivio, per esempio proponendo uno scambio in cui il privato (individui o gruppi) finanzia - nelle modalità esposte da Franco Debenedetti - la conservazione e restauro di un testo e la biblioteca assicura la catalogazione e tutela dell'archivio privato. Insomma, diversamente da altre sindromi, il mal d'archivio ha una cura: sono le biblioteche, gli archivi di stato, le università, i centri di ricerca (in Italia l'Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee sta elaborando un ambiziosissimo progetto in questa direzione) cioè gli ambiti tradizionali di creazione e trasmissione del sapere. Certo, costano. Ma molto meno di quanto costi un mondo senza memoria." (da Maurizio Ferraris, Mal d'archivio. Aiuto, stiamo perdendo la memoria digitale, "La Repubblica", 24/08/'10)
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