mercoledì 18 agosto 2010

Innamorati, malinconici e creativi lasciate che i ragazzi scrivano di sé


"Più o meno a sedici anni, molti avvertono la motivazione a suonare uno strumento musicale, a disegnare il proprio nome d'arte sui muri della città, a danzare secondo le regole ed i ritmi della tribù, a scrivere sincopati messaggini alla propria generazione, ad organizzare una mostra virtuale delle proprie opere nel blog e a effettuare su vasta scala complesse comunicazioni virtuali multimediali. E a fare poesie. Alcuni esemplari di questa generazione costretta a cercare la visibilità attraverso la comunicazione, tengono un diario delle proprie imprese, reali o immaginarie, nella speranza che la mamma lo legga e stia zitta. Altri parlano del loro dolore, della solitudine, della malinconia e della delusione scrivendo versi sregolati. Quasi tutti questi adolescenti creativi e sospinti ad una forte espressività, non appena termina la loro adolescenza smettono di fare i poeti, gli artisti, i comunicatori virtuali e si mettono a studiare o a lavorare; pochi proseguono e tentano di realizzare la propria vocazione facendola diventare un mestiere. È quindi l'adolescenza che costringe ad intonare il proprio canto e a trovare la parole, le note o i segni che esprimano le passioni. Da un lato l' adolescente è costretto ad elaborare la propria ineludibile malinconia innescata dall'essere diventato grande e quindi esule dall'infanzia, orfano simbolico della mamma e del papà, ed essersi accorto che non sarà mai più il bambino prodigio che è stato sul palcoscenico della famiglia. Dall'altro lato è alle prese col prepotente linguaggio del nuovo corpo che lo costringe a regalare senso al desiderio e un nome al proprio amore. Ha quindi le due spinte fondamentali per tentare la strada della poesia: risolvere la tristezza decantandola e mettere in versi il dolore che deriva dall'amore. Oltre però a queste due spinte motivazionali che solitamente costringono a fare l' artista per non soffrire troppo, l'adolescente ne ha un'altra potentissima e legata specificamente all'età. Deve creare il nuovo Sé, il nuovo mondo, i nuovi oggetti d' amore: è costretto a trasformare la natura, cioè il nuovo corpo, in cultura, pensiero, simbolo: deve diventare i propri pensieri e perciò è costretto ad una immane ricerca di verità affettiva, di senso, di identità. Naturalmente non tutti ci riescono e così un esercito di adolescenti e di studenti si limita ad essere le proprie azioni, a diventare ciò che fanno perché non riescono a produrre una adeguata funzione simbolica e si rifugiano nel comportamento, a volte trasgressivo, a volte rischioso, in alcuni casi violento. La relazione di aiuto con adolescenti in crisi ha perciò un obiettivo preciso: sostenerli nello sviluppo della capacità di narrare ed essere la propria storia e di identificarsi con i propri pensieri: quando non si riesce, l'adolescente getta nell'azione la passione non pensata, il dolore non rappresentato e comunica attraverso la poetica delle azioni apparentemente insensate. Non è perciò casuale che nei dispositivi di aiuto costruiti per adolescenti che non riescono a simbolizzare, si sviluppino attività espressive orientate a potenziare e sviluppare la creatività che cerca gli strumenti per esprimere la verità affettiva profonda. Nascono laboratori teatrali, gruppi di scrittura creativa, si impara a suonare almeno un tamburo, si danzae si canta in gruppo. L'adolescente se non riesce ad intonare il proprio canto rischia di far sperimentare la propria paura e dolore agli altri, costruisce attorno a sé un piccolo gruppoe inventa azioni stupefacenti che trasudano pensieri mai nati e trasformati in comportamento. L'adolescente è costretto a simbolizzare; sente nella profondità della propria mente che deve portare in superficie la propria verità, il vero desiderio, l'identità. È un lavoro difficile e sono in pochi ad aiutare. Deve diventare un poeta o lasciar parlare la poesia al suo posto, mentre ascolta la colonna sonora scelta per la messa in scena del proprio dolore e della fatica di crescere in una società di spacciatori di illusioni, di merce che non serve, di modelli che incitano ad accettare di essere uguale per sentirsi in compagnia e smettere di cercare se stesso nei meandri della mente e della propria storia di vita.
Di mestiere faccio lo psicoanalista di adolescenti: li definiscono "nativi digitali" perché quando sono nati Internet e tutto il resto c'era già ed hanno trovato naturale comunicare anche attraverso questi canali. Spesso perciò alcuni di loro mi inviano messaggi brevi o mail più lunghe e strutturate. Quando mi scrivono vuol dire che la motivazione a comunicare è drammatica: ciò fa sì che molte delle loro comunicazioni siano delle belle poesie in linguaggio virtuale. Per scrivere un bel "messaggino" bisogna essere un poeta, soffrire come in genere succede ai poeti e trarre dalla comunicazione riuscita il vantaggio di aver trasformato in parole scritte e in relazione il proprio dolore, evitando il rischio di doverlo trasformare in un gesto violento, rischioso, muto, destinato a provocare dolore negli altri, spesso proprio quelli più amati." (Gustavo Pietropolli Charmet, Innamorati, malinconici e creativi lasciate che i ragazzi scrivano di sé, "La Repubblica", 14/08/'10)

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