venerdì 13 agosto 2010

Consigli per lettori veri, dall'uomo che leggeva libri a Borges


"Trentaquattro taccuini neri - non è uno scioglilingua - tutti uguali, tipo Moleskine. Allineati sullo scrittoio. Poi altri trentatré, identici, ma rossi. Quindi una nuova serie di quelli neri: sempre trentatré. In totale cento taccuini. 'Come i canti della Commedia. Ogni mattina ne rileggo uno e prendo appunti sul quaderno corrispondente' spiega Alberto Manguel. Noialtri ci svegliamo imprecando, acendiamo la radio, canticchiamo sotto la doccia, lui no: al mattino glossa Dante. Manguel ha 62 anni e 35 mila libri asserragliati in una sagrestia riattata del Trecento. Ci vive, scrivendo, da un decennio. Fuori la chiesupola è ancora operativa e il campanile fa bleng-bleng a tutte le ore. Intorno non cogli anima viva: solo bellezza sterminata di campi coltivati a mais o girasole. Se non trovi l'ispirazione in un posto del genere significa che hai preso un abbaglio e quello di scrittore non è proprio il tuo mestiere.
Prima di stabilirsi nelle campagne di Poitiers, il signor Manguel ha vissuto in mezzo mondo, dall'Inghilterra al Canada, passando per Tahiti e l'Italia (a Milano collaborava con Franco Maria Ricci). Parla cinque lingue. Come se ognuna fosse la sua. E' nato a Buenos Aires. Lì a 16 anni faceva il commesso in una libreria, la Pygmalion. Tra i clienti c'era il più famoso non vedente dopo Omero: Jorge Luis Borges, che, sessantacinquenne, ingaggiò il ragazzo perché gli leggesse gli autori più amati. Era il 1964. Quelle sedute durarono quattro anni. L'ex discepolo le ha raccontate solo nel 2000, in un libro tanto piccolo quanto prezioso, intitolato Con Borges. Ma la lezione umanistica e beffarda dell'antico maestro sembra baluginare anche tra le righe dell'ultimo lavoro di Manguel, Tutti gli uomini sono bugiardi (Feltrinelli). Un finto poliziesco - magari più vero di tanti oggi in classifica. Un giornalista franco-spagnolo indaga su uno strano suicidio avvenuto trent'anni prima, nell'immediato post-franchismo: perché l'esule argentino e scrittore di fotoromanzi Alejandro Bevilacqua è volato giù dal balcone dell'appartamento madrileno che gli era stato prestato da un amico (il quale, a complicare la matassa, si chiama Alberto Manguel)? Era un talentaccio inespresso o un impostore, e perfino un bastardo? Era davvero suo il formidabile romanzo inedito Elogio della menzogna, che teneva nascosto in una valigia e che un'ammiratrice/amante aveva pubblicato senza informarlo ma credendo di fargli gradita sorpresa? E poi: cosa era accaduto realmente nella tenebra delle galere argentine in cui Bevilacqua era stato rinchiuso dalla dittatura militare, insieme a un inquietante mestatore cubano soprannominato El Chancho - il porco? Dietro le sbarre si era consumata una promessa? O un tradimento? Insomma: chi diavolo è stato l'italo-argentino Bevilacqua? Il cronista interroga tutti i testimoni ancora in vita. E costoro, quando non mentono scientemente (ma come fai a stabilirlo?), dicono quell'altra specie di bugia che è la loro verità personale, il loro 'innocente' punto di vista.
Hanno scritto: 'E' un romanzo sull'impossibilità di raccontare una vita. Anche una qualunque'. 'Direi di raccontare la realtà. C'è la menzogna consapevole, diretta a nascondere, a deformare qualcosa; e c'è la menzogna genuina di chi ti fornisce la propria versione dei fatti senza considerare che si tratta di uno sguardo parziale, condizionato da educazione, mentalità, pregiudizi. Alla fine, sulla vita di qualcuno non c'è mai consenso. Nessuna unanimità'.
Il caleidoscopio delle verità. Bell'impiccio. Vecchio come il mondo. 'Prenda Tolomeo: quando teorizzava il geocentrismo mentiva, ma in buona fede. Quella era semplicemente la sua visione del mondo. Facciamo un esempio meno roboante. Una riunione di famiglia: genitori, figli, parenti. Si rievoca il passato, memorie d'infanzia. Per uno quel tale giorno, quel tale episodio è immagine di felicità, pienezza. A un altro ricorda invece un periodo nero, una delusione, magari un trauma. ma questa frammentazione dei punti di vista non è una povertà: è una ricchezza. La realtà diventa davvero infinita appena iniziamo a raccontarla'.
Ricostruire una vita: letterariamente, non è sempre stata un'idea problematica. 'No. Però, che parlassero di un filosofo o di un imperatore, gli scrittori antichi si limitavano a una scelta di aneddoti. Con più o meno scetticismo, sembravano consapevoli di non poter raccontare tutto. E neppure lo volevano. Di Caligola, per esempio, si dice quanto basta a mostrarne il tiranno. E' con l'Ottocento, e l'affermazione delle scienze cosiddette esatte, che prende piede l'idea totalizzante di una biografia completa, obiettiva, appunto: scientifica. La vita raccontata come un fenomeno naturale, in tutti i suoi aspetti. Un'illusione, ovviamente'. [...]
Una volta ha detto: 'Se oggi Borges si presentasse con un nuovo libro avrebbe difficoltà a pubblicarlo'. Esagerava. 'Macché. Sei mesi prima del Nobel, la mia amica Doris Lessing mi confessò che non riusciva a trovare un editore. Le dicevano: 'Non hai più lettori giovani'. Nel mondo anglosassone i grandi autori sono tutti sopra la sessantina e, salvo eccezioni, riescono a pubblicare solo con le edizioni universitarie'.
E i falsi lettori? 'Sono i lettori-consumatori. Quelli compulsivi. Che non leggono: divorano. Dissipano'.
In Italia li chiamiamo 'lettori forti'. 'Il vero lettore è un anti-consumatore. Un tipo lento. Abbastanz ascettico, razionale o intelligente da chiedersi: 'A che serve tutta questa velocità? E' utile? E' giusta?'. E così, tra le domande, inceppa l'ingranaggio industriale. Si può essere grandi lettori anche leggendo nella vita un solo libro. Guardi san Girolamo, aveva una biblioteca modestissima'.
Come Borges. 'Sì. Però lui era stato un bibliotecario'.
Chissà con quanta civetetria, ma prima che scrittore si considerava lettore. 'Era una rivendicazione di libertà. Diceva: "Lo scrittore scrive quel che può. Il lettore legge quel che vuole". Non si sentì mai obbligato a leggere un libro per intero'.
Lei come glieli leggeva? 'Esigeva un tono neutro. Senza interpretazione. E detestava che facessi commenti. Perciò smisi subito'.
Si rendeva conto di stare a casa di Borges? 'Sì e no. Ce lo facevano studiare a scuola. Ma in quei momenti mi pareva un anziano signore dallo sguardo vuoto e malinconico. Aveva sempre convissuto con la debolezza fisica. Credo che anche a causa di quella fragilità mettesse la letteratura epica al di sopra di tutte le altre. Adorava gli eroi, gli avventurieri. O i malavitosi dei bassifondi di Buenos Aires. Pensando, non sempre a ragione, che fossero una specie di reincarnazione degli antichi prodi'.
Oggi l'uomo colto non rappresenta più un ideale. 'L'atto intellettuale ha perso prestigio. Primeggiano altre cose. Ricorda? La morte della principessa Diana oscurò quella di madre Teresa, avvenuta negli stessi giorni. Ora il nuovo ingaggio di un famoso calciatore sarebbe capace di mettere in ombra persino la scomparsa di un Nabokov. Ma non voglio sembrarle apocalittico. Questo modello economico, delirio di produzione e consumo, non si era mai visto nella storia: si divora da solo. E' destinato al collasso. Almeno nella cosiddetta cultura. E poi ho ancora la presunzione di credere nell'intelligenza e nella sensibilità degli individui: uno che non legge penso di poterlo convincere che ne vale la pena. In qualche ora. Vabbè, diciamo in qualche giorno'." (da Marco Cicala, Alberto Manguel. Consigli per lettori veri dall'uomo che leggeva libri a Borges, "Il Venerdì di Repubblica", 13/08/'10)

Nessun commento: