mercoledì 25 agosto 2010

Javier Cercas: la fiction non basta più, serve il romanzo politico


"Sezionare il tempo. Sondarlo con accanimento chirurgico. Specchiarsi nella sua miriade di sfaccettature come in un prisma. Guardare al passato prossimo come a una dinamicissima avventura da esplorare in un viaggio strabiliante e sterminato. Dilatare in mezzo migliaio di pagine un attimo di folle intensità: una manciata di minuti decisiva per la storia di un Paese. Accade nell'ultimo libro di Javier Cercas, Anatomia di un istante, accolto in Spagna come un bestseller, incoronato dai due massimi quotidiani spagnoli (uno di destra e l'altro di sinistra) come il miglior titolo dell'anno e ora in uscita in Italia per Guanda nell'ottima traduzione di Pino Cacucci. L'istante "anatomizzato" dal romanziere e saggista catalano (già autore di quell'indagine geniale sulle ragioni profonde della guerra civile spagnola che fu Soldati di Salamina) è rintracciabile nel pomeriggio del 23 febbraio 1981, quando il colonnello Antonio Tejero irruppe alla testa di un gruppo di militari nel Parlamento madrileno dov'erano appena state avviate le votazioni per il nuovo presidente in seguito alla dimissioni di Alfonso Suárez. Fu un golpe rapido e assurdo, soffocato in poche ore e liquidato dagli storici come un episodio senza peso; eppure Cercas, nella sua analisi incalzante come un thriller, ne mostra il ruolo cruciale per l'identità e le sorti della Spagna contemporanea. «Di quello strano golpe», spiega lo scrittore, «ho voluto scegliere il momento iniziale, ovvero l'immagine di Tejero che entra sparando, e com'è ovvio tutti reagiscono buttandosi a terra. Ma tre persone non lo fanno restando ai loro posti: sono il premier uscente Suárez, il suo vice Manuel Gutiérrez Mellado e l'ex segretario del Partito Comunista Santiago Carrillo. Perché loro tre? E soprattutto perché Suárez, un individuo che io, come quasi chiunque altro, all'epoca disprezzavo profondamente? Il libro è un tentativo, più che di rispondere alla domanda, di formularla con la maggiore complessità possibile».
Che cosa ha spinto il romanziere Cercas a scrivere una vicenda fondata per intero su politica e Storia? «Mi sono reso conto che non potevo capire me stesso senza capire gli altri in quanto parte di me, e che non potevo cogliere il presente senza comprendere il passato, dimensione necessaria del presente. Il mio interesse per i temi collettivi ha a che fare anche, credo, con l'età e il fatto di avere un figlio, che mi ha reso iper-responsabile. Ma ora che lui sta crescendo spero di recuperare l'irresponsabilità dei miei vent'anni. In ogni caso non penso di potermi disinteressare alla Storia e alla politica perché nessuno può farlo».
Forse in un presente dove sembra essersi persa la nozione di sinistra emerge il bisogno di approfondire i presupposti di questa situazione? Crede che si possa parlare ancora dell'esistenza di una sinistra? «Certo che c'è la sinistra, così come la destra. Ma è una sinistra ormai vecchia e superata. Lo dimostra il fatto che a tutt'oggi molte persone di sinistra pensano che il regime cubano sia di sinistra e non una mera tirannia. Sono convinto che la colpa della decadenza della sinistra sia da dare proprio alla sinistra e sia catastrofica per tutti. E lo dico da scrittore decisamente di sinistra».
C'è un aspetto spettacolare o persino teatrale nel golpe, così come lei lo racconta. «È vero: pur restando rigorosamente fedele a quanto accadde, ho attribuito alla narrazione un'impronta drammatica. Ma la spettacolarità del golpe deriva anche dal fatto che fu ripreso in tivù; credo sia stato l'unico colpo di Stato trasmesso in televisione, il che è al tempo stesso la garanzia della sua realtà - altrimenti in molti ne avrebbero negato l'esistenza - e la prova della sua irrealtà, poiché la tivù rende irreale tutto ciò che tocca. Comunque è un documento eccezionale, paragonabile solo alla ripresa che Zapruder fece della morte di Kennedy. Ed è anche quasi l'unico di cui disponiamo riguardo a quel colpo di Stato. È per via di tale assenza di documenti che gli storici non lo hanno sufficientemente studiato, e per lo stesso motivo è fiorita in proposito un'incredibile quantità di sciocchezze: si sono accumulate tante di quelle leggende e menzogne sul tema che mi è parso ridondante e superfluo aggiungere finzione alla finzione. Perciò ho scritto un racconto il più possibile aderente ai fatti».
Può ripercorrere per noi il disegno dell'innovativa struttura del libro? «Parte dall'istante decisivo del titolo, si dilata nei 35 minuti della ripresa televisiva e poi nelle 17 ore e mezza della durata complessiva del golpe, e arriva ad abbracciare un trentennio di storia spagnola. È stato il libro a impormi questa forma, che non era esattamente quella che cercavo. La cosa che ho intuito dal principio è che quell'istante era colmo di significato, e alla fine ho scoperto che in quel momento non solo i tre protagonisti hanno deciso il loro destino e hanno capito chi erano, ma che lo ha saputo l'intero Paese. In quell'attimo cominciava la democrazia, finiva la transizione dalla dittatura e terminavano il dopoguerra e la guerra, dato che in Spagna il dopoguerra non è stato altro che il prolungamento della guerra con altri mezzi».
Parliamo dei gesti di resistenza con cui i suoi "tre moschettieri" vollero coraggiosamente sfidare il golpe. «Il motivo del coraggio di Gutiérrez Mellado è evidente: era l'unico militare che stava in Parlamento, aveva fatto la guerra e consacrato la vita all'esercito. Chiaro che gli sembrasse intollerabile la ribellione di un manipolo di soldati. Quanto a Carrillo, aveva combattuto al fronte ed era stato esiliato per quarant'anni, durante i quali era divenuto l'emblema dell'opposizione al franchismo. Ma Suárez? Era il presidente e ostentava la rappresentatività democratica, e tuttavia altri parlamentari che la ostentavano come lui obbedirono subito ai golpisti. Ho avuto bisogno di quasi cinquecento pagine per provare a capire il gesto di Suárez, e non sono sicuro di esserci riuscito. Direi che fu il gesto di un traditore e di un eroe. Meglio: di un eroe del tradimento che in quell'istante definitivo si scoprì come tale».
Nel libro i fatti appaiono geometrici, correlati e non casuali: crede che un'etica e una coerenza governino la Storia? «È come se la Storia cercasse un senso o lo stesse suggerendo, e tentasse di dirci che non tutto è furia e caos: penso che la realtà sia caotica e l'arte cerchi di imprimerle un ordine. Comunque qui il mio obiettivo è stato soprattutto provare a identificare un ordine nel caos tramite un libro che fosse al contempo Storia e letteratura, romanzo e saggio. Impresa impossibile: ma per me sono queste, ormai, le uniche sfide eccitanti»." (da Leonetta Bentivoglio, Javier Cercas: la fiction non basta più, serve il romanzo politico, "La Repubblica", 23/08/'10)

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