martedì 10 agosto 2010

Il mondo in una applicazione


"Le applicazioni appartengono allo stesso genere delle poesie, delle barzellette e delle canzoni. Sono creazioni ingegnose che coprono tutta l'estensione dall'infimo al sublime e che occupano (in genere) poco spazio e poco tempo. Diversamente dalle poesie, però, moltissime applicazioni hanno finalità eminentemente pratiche; diversamente dalle barzellette di solito hanno un autore; e diversamente dalle canzoni tradizionali non hanno bisogno di case discografiche, per la promozione e la distribuzione basta il Web. Grazie a queste caratteristiche, le applicazioni, contrariamente a ciò che avviene per il software di base, non tendono a concentrarsi in grandi corporation, ma piuttosto crescono un po' dappertutto, perché una applicazione si può elaborare a Cupertino nella Silicon Valley o a Copertino in provincia di Lecce. È così che da tutte le parti del mondo ci arrivano queste icone che ci permettono di fare una grande quantità di cose, come suggeriscono le categorie un po' borgesiane con cui le trovo classificate sul mio iPhone.
Giochi, Intrattenimento, Utility (tra queste, una applicazione per guidatori distratti che permette di visualizzare i punti residui sulla patente), Social network, Musica, Produttività (sostanzialmente, sistemi per gestione di testi e calendari), Mode e tendenze (c'è una applicazione che permette di "insultare gli amici" - sic! - con la voce di Vittorio Sgarbi), Riferimento (cioè opere di riferimento, dai dizionari ai rimedi della nonna, alla Bibbia, alle ricette dei cocktail), Viaggi, Sport, Navigazione, Salute e benessere, News, Fotografia, Finanza, Economia, Istruzione, Meteo, Libri, Medicina. Ma se le categorie sembrano raccolte vagamente a casaccio, l'applicazione è una cosa seria.
Il concetto di "applicazione" (adplicatio, Anwendung) era già presente nella tradizione filosofica, e indicava la capacità di applicare in concreto un concetto astratto. Tipicamente, è il caso del giudice che applica la legge, e che nel farlo deve avvalersi della subtilitas adplicandi, cioè di una certa sottigliezza nel trasporre nel caso specifico gli articoli di legge. E in effetti questa sottigliezza è un elemento indispensabile, perché il riuscire a tradurre in pratica in modo sensato principi proprio altrui incontra gli scogli sintetizzati dal detto "tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare". Solo che qui c'è qualcosa di più. Non si tratta necessariamente di applicare qualcosa di preesistente, come un articolo di legge o un versetto biblico, ma di inventare qualcosa di nuovo.
In questo senso, le applicazioni sembrano essere le eredi del Concours Lépine, il concorso annuale che fu creato all'inizio del Novecento a Parigi dal prefetto di polizia Louis Lépine per premiare i negozianti che presentassero piccole o grandi invenzioni, e che con il tempo è stato il teatro in cui sono apparsi per la prima volta la penna a sfera, il ferro da stiro a vapore e le lenti a contatto. All' incrocio fra l'adplicatio del giudice e l'invenzione del Concours Lépine, le applicazioni sono dunque qualcosa di sostanzialmente nuovo, e creano una nuova classe, che non sapremmo definire se di intellettualio di artisti. Il tutto, mi ha spiegato il mio allievo Luca Morena, che ha inventato una applicazione per social network, iCoolhunt, avviene attraverso pochi passaggi tecnicamente non impervi: scrivere la descrizione dell'idea (bastano cinque righe in un file di word) spiegando a cosa serve l'applicazione; articolare l'idea e passarla a degli sviluppatori (cioè a degli ingegneri informatici che, dicendoti che cosa non si può fare, aiutano a capire che cosa si può effettivamente realizzare); infine, pubblicizzare l'applicazione con una semplice e-maila mailing liste siti specializzati, incrociare le dita e contare sul passaparola. Semplice, no? Kant si chiedeva come si potesse passare dai concetti puri dell'intelletto ai singoli oggetti dell'esperienza, e aveva elaborato una macchina complicatissima e misteriosa, lo schematismo. Se avesse parlato di "applicazioni", forse sarebbe stato più chiaro." (da Maurizio Ferraris, Il mondo in una applicazione, "La Repubblica", 10/08/'10)

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