sabato 21 agosto 2010

Diario di lettura: Nanni Balestrini


"La vita intellettuale di Nanni Balestrini è stata scandita dalle riviste. Cominciò col verri poi arrivarono Quindici e la prima Alfabeta. E ora alfabeta2. Sono quattro Italie molto lontane l'una dall'altra. «Il verri fu l'apertura all'estero; Quindici fu la fine della neoavanguardia e il momento di un'azione più diretta: dopo il Sessantotto mi sono sostanzialmente dedicato alla politica. Verso il 1976-77 inventammo “Area”: una federazione di piccoli editori che ebbe ottimi risultati commerciali e alla quale nel '78 venne posta la parola fine da pesanti interventi politici. Insieme ai transfughi di “Area” pensammo che occorreva reagire al dilagare della repressione, alle leggi speciali. Con Paolo Volponi, Maria Corti, Antonio Porta, Gianni Sassi, Mario Spinella e altri partivamo proprio dall'eterogeneità dei nostri percorsi: eravamo uniti dall'emergenza in atto. Non è un caso che feci in tempo a realizzare solo il primo numero di Alfabeta, nell'aprile del '79: mentre andava in stampa venni coinvolto nel processo "7 aprile" e dovetti lasciare l'Italia. Il fascicolo lo ricevetti per posta, a Parigi. In quel periodo ho conosciuto bene Gilles Deleuze e Félix Guattari: Mille Plateaux fu un'altra lettura decisiva, con la sua visione "plurale" sia dell'individuo che della società, percorsi da forze propulsive di liberazione: una grande opera politica. Dopo il processo e l'assoluzione, nel 1984 rientro in Italia ma per alcuni anni continuo a vivere più in Francia: lì mi sono dedicato con continuità all'arte visiva, che è poi oggi la mia attività prevalente. Sin da quando ho cominciato a scrivere poesia considerare la parola come oggetto ha portato con sé la pratica del ritaglio e del collage. Ma ho fatto tante altre cose: programmi televisivi, la prima web-tv culturale, eccetera».
E oggi, come mai di nuovo una rivista, «alfabeta2»? «L'idea ce l'ho da qualche anno. Con Eco e altri ci siamo decisi constatando una situazione italiana sempre più incancrenita, una cultura sempre più degradata. Gli intellettuali non possono più starsene a contemplare il naufragio, ci vuole un Sos. Come nella prima Alfabeta occorre mettere assieme diverse generazioni: ci sono la mia, la tua, quella di mezzo e poi i più giovani, che saranno l'anima del sito: tutt'altro che una vetrina della rivista cartacea ma al contrario il suo vero motore. Che alfabeta2 sia stata attaccata da più parti vuol dire che non lascia indifferenti; ma nella maggior parte dei casi c'è stata un'accoglienza entusiasta, persino sorprendente. Che sta a noi non deludere».
Sembra esserci qualcosa di non italiano in Balestrini, al di là dell’aspetto e delle origini famigliari. Come se fosse sempre in fuga, o comunque velocemente di passaggio ... «Mia madre era tedesca ma si trasferì in Italia quando sposò mio padre, industriale chimico. Ho vissuto a Milano, Roma, Parigi e Berlino e le sento tutte città mie. Dove faccio delle cose, lì sto bene. Più importante è essere stato giovane negli Anni Cinquanta, un nuovo Rinascimento europeo. Da noi arrivavano dirompenti cose stranote all'estero come i Cantos di Pound o
l'Ulisse di Joyce. Ho cominciato a scrivere poesie nell'adolescenza,
effusivamente, come si fa in quell'età; qualcosa che con la poesia vera e propria, con l'arte del linguaggio, ovviamente non aveva niente a che fare».
Caosmogonia, uscito quest'anno nello «Specchio» Mondadori, dispiega pienamente quest'«arte del linguaggio ...». «Nei primi componimenti le parole di Bacon, Cage e Godard mi servono per dichiarazioni di poetica, o di etica se si vuole. La parte centrale è per me abbastanza nuova, un flusso verbale legato all'inconscio. Come piace dire a Umberto Eco, usando da sempre il collage verbale non ho mai scritto una parola di mio; è un'esagerazione ma c'è del vero, perché anche le parole mie le ho sempre usate in modo impersonale. Qui ho lasciato parlare il mio inconscio come fosse un estraneo».
'Make it new!' di Pound fu lo slogan decisivo, insomma. Era l'autore di culto della vostra couche milanese ... Vanni Scheiwiller, Aldo Tagliaferri, Leo Paolazzi cioè il futuro Antonio Porta ... «Ricordo bene una lettura di Pound a Milano: il suo ritmo come un basso continuo corporeo, una specie di mantra sonoro. Proprio Pound, come critico, ci insegnò che un classico come L'educazione sentimentale anticipava l'epica del quotidiano dell'Ulisse. Il romanzo di Flaubert mi affascinava dalla giovinezza ... una scrittura che annega l'illusione romantica nella banalità quotidiana, una struttura senza trama e senza eroi che sfilaccia l'esistenza borghese in una consapevolezza di inutilità, corruzione e fallimento ... A scuola, al Liceo Scientifico Vittorio Veneto di Milano, ho poi avuto la fortuna di avere Luciano Anceschi come professore di filosofia. Era il 1952; Anceschi si interessò ai miei primi versi e divenni il ragazzo di bottega della rivista il verri, alla sua fondazione nel '56. Nello stesso anno lessi Laborintus di Sanguineti; lui aveva solo cinque anni più di me ma io l'ho subito considerato il mio maestro; in effetti l'ho sempre chiamato così, “Maestro”».
Nella neoavanguardia al nome Balestrini resta legata una spinta al fare, all'organizzare. «È un po' la mia croce. Quando si trattava di organizzare convegni, festival, riviste nessuno ne voleva sapere; mi ci incastravano tutte le volte, finché è parso naturale che me ne occupassi sempre io. Poi il lavoro editoriale mi ha insegnato qualche trucco del mestiere».
Quell'editoria era già un fenomeno industriale, ma assai diverso da oggi. «Negli Anni Sessanta comincio a lavorare alla Feltrinelli dove incontro un personaggio straordinario come Giangiacomo. Sono stati anni appassionati, anni felici, anni straordinari. Ma anche da Einaudi e Bompiani lavoravano tanti intellettuali della mia generazione, giovani scrittori con ruoli decisionali. La dimensione del mercato c'era anche allora, certo; ma scoprire la letteratura sudamericana o quella tedesca - insieme a Valerio Riva ed Enrico Filippini - significava esercitare l'immaginazione imprenditoriale e, insieme, fare una scommessa culturale. Per Feltrinelli, poi, l'interesse culturale e quello politico erano una cosa sola. Si potevano pubblicare libri fuori del mercato, come quelli della neoavanguardia, perché li si considerava culturalmente importanti. La fine di questo sistema è legata alla scomparsa dei fondatori; le loro case editrici ora sono società gestite da amministratori ...».
... nell'editoria di oggi, i libri sono concepiti come armi di intrattenimento di massa ... «...come si vede anche in politica, in Italia ci adeguiamo sempre al livello più basso. All'estero l'editoria di massa si fa benissimo ma si mantiene vivo anche un settore letterario, dal pubblico più limitato ma consistente. Da noi si fa finta che non esista, questo pubblico diverso; anzi lo si respinge, evitando di pubblicare libri in quella direzione o presentandoli come opere d'evasione. Gli autori esordienti vengono normalizzati dall'editing, così amputandoli delle loro potenzialità. Viviamo nel dogma capitalista della produttività ma è proprio il mito dello sviluppo a causare le crisi di sovrapproduzione: si incoraggia la gente a indebitarsi sino a che la bolla esplode. Anche in editoria ci sono troppe pubblicazioni, si va avanti a forza di anticipi della distribuzione poi al momento delle rese ci si trova coi debiti fino al collo ...». ... è la corsa dei lemming verso la scogliera." (da Andrea Cortellessa, 'Pound e Joyce, il mio Rinascimento', "TuttoLibri", "La Stampa", 21/08/'10)

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