mercoledì 18 agosto 2010

L' Italia dei ventimila poeti senza lettori


"Qualche anno fa, a una giornalista americana che gli chiedeva quale fosse la sua professione, Elio Pagliarani rispose: «Faccio un lavoro che non esiste, in una lingua che non esiste». Ha ancora ragione l'autore della Ragazza Carla? Non c'è più posto, nell'Italia di oggi, per chi voglia scrivere versi? Davvero la poesia è migrata altrove? Nel giro di pochi mesi, la scomparsa di Alda Merini, Edoardo Sanguineti e Luciano Erba ha posto oltretutto un problema di riconfigurazione del nostro panorama letterario. Ma cominciamo dall'inizio. Secondo un rilevamento Doxa di qualche tempo addietro, circa un milione e mezzo di italiani avrebbe composto durante la sua vita almeno una raccolta di versi, con una percentuale del 24,8 tra i disoccupati, e del 34,8 tra i giovani dai quindici ai venti anni. E secondo le stime di associazioni e blog sarebbero tra i 20 e i 30mila i poeti praticanti in Italia. Le vendite, però, restano irrisorie, e così, mentre i poeti si moltiplicano, i loro libri restano invenduti. Di questa impellente e insieme contraddittoria richiesta di poesia, si occupò Lorenzo Renzi con il saggio Come leggere la poesia (il Mulino). Le sue tesi erano forti e chiare: «Quando si dice che i giovani non hanno fame di poesia, si vuol dire invece: non hanno fame della poesia che intendiamo noi». Secondo Renzi, ammiratore di molti cantautori italiani, gli studenti soddisfano eccome tale esigenza, soltanto che, per farlo, ricorrono a quella immediata esperienza del vissuto espressa dalla musica leggera, piuttosto che ai materiali "alti" offerti dalla scuola. Analoghe le posizioni di Guido Mazzoni, che nello studio Sulla poesia moderna (il Mulino) ha notato come il mandato sociale del poeta sia ormai irrimediabilmente scaduto: «I poeti possono raccontare i dettagli effimeri delle proprie vite effimere con una libertà confessoria, un pathos esistenziale, una serietà narcisistica inediti». iversamente dalla poesia antica, che rispondeva a un tacito incarico civile, Mazzoni sostiene che quella moderna coincide con un' apoteosi dell'individualismo. Chi scrive versi, cioè, censurerebbe l'immagine oggettiva della realtà, privilegiando, rispetto ai discorsi delle masse, un atteggiamento velleitario, elitario. Di fronte a tale ritrarsi della poesia per carenza comunicativa, sarebbe stato il rock degli anni Sessanta e Settanta, ad assumersi la responsabilità di quel "mandato sociale plebiscitario", documentario e testimoniale, che dovrebbe essere ancora il fine primo della letteratura.
Ma è davvero così? La poesia ha realmente abdicato a favore della canzone? In realtà, parecchi segnali sembrano indicare l'inverso. Il primo viene dalla diffusione di letture pubbliche (sparse sull'intero territorio nazionale) e grandi festival (come quelli di Parma, Genova, Cuneo, Pordenone, cui si sono via via aggiunti Messina, Napoli, San Benedetto del Tronto e Salerno, con la sua Casa della Poesia). Il secondo, dall'inossidabile fabbrica dei premi, con i classici Viareggio e Mondello, ma anche con nuove formule quali il premio telematico Dedalus e la competizione biennale della poesia giovane a Cetona (ultimo vincitore, Massimo Gezzi). Il terzo indizio di sopravvivenza, se non proprio di salute, arriva invece dall'editoria. Certo, rispetto a trenta anni fa, molte collane storiche sono state sospese o ridotte. Feltrinelli e Garzanti, ad esempio, hanno limitato drasticamente le loro proposte. Ciononostante, sebbene con uscite più circoscritte, Einaudi, Guanda e Mondadori credono ancora alle raccolte di versi. Inoltre, mentre si affermano nuovi marchi quali Donzelli, Fazi o Sossella, proseguono le pubblicazioni di Anterem, Campanotto, Edizioni del Leone o Scheiwiller. Restando nelle produzione cartacea, costante è anche il flusso delle antologie (una per tutte: I poeti di vent'anni, a cura di Mario Santagostini), degli almanacchi (da Mondadori a Castelvecchi) e delle innumerevoli riviste (tra cui spicca il mensile Poesia). Ma quanti altri fogli attraversano il nostro Paese! Non per niente, Edgar Allan Poe vide nelle riviste "la cavalleria leggera dell' intelletto" ... Aggiungiamo almeno i Quaderni di Poesia Italiana Contemporanea, arrivati al decimo numero presso Marcos y Marcos, che Franco Buffoni cura ormai da anni per segnalare i nomi dei più promettenti esordienti. Perché sono i debuttanti, e i giovani in particolare, a pagare le ristrettezze della situazione. Eccoci al punto: proprio per rimediare a una situazione del genere, si è andata radicando la pratica dei poetry slam (l'11 agosto si è tenuto a Porto Recanati il Secondo Campionato Nazionale di Poesia Orale), autentiche gare di poesia gestite seguendo tecniche rigorose, e accolte da un pubblico attento, vociante, partecipe, in genere sotto la guida del "gran maestro" Lello Voce. La vera novità, comunque, è costituita dalla rete, con riviste (tra cui l'eccellente "bina") e gruppi di discussione (Nazione indiana, Booksblog, Lipperatura, Carmilla, vibrisse, Sagarana). Che distanza, rispetto alle antiche forme di poesia popolare! Eppure anch'esse riscuotono attenzione, come dimostra la gara di poesia improvvisata in ottava rima che si è appena tenuta ad Amatrice. Proviamo allora a tirare le fila del discorso, cominciando con l'abbandonare la brillante ma insostenibile idea che un genere di intrattenimento come la canzone, a proprio agio nel degradato habitat televisivo, possa sostituire la ricerca in versi. Indubbiamente, pare impossibile sottrarsi al paradosso caratteristico del rapporto tra poesia e mercato. Lo si potrebbe formulare così: la poesia esige un approccio reattivo, capace di sottrarre la parola alla mercificazione quotidiana, ed è appunto questo a rendere la sua lettura così complessa, impegnativa e impegnata, salutare, "etica".
Ma se la poesia rappresenta la negazione dell'oggetto di consumo, come ampliare il consumo di poesia? Come ampliare, cioè, il consumo di negazione? In attesa di una risposta, meglio affidarsi a una frase di Leopardi, sorta di citazione-talismano, che suona: «Dalla lettura di un pezzo di vera contemporanea poesia, si può dire che essa aggiunga un filo alla tela brevissima della nostra vita»." (da Valerio Magrelli, L' Italia dei ventimila poeti senza lettori, "La Repubblica", 14/08/'10)

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