lunedì 30 marzo 2009

Una zampillante fontana di Martin Walser


"Dopo due ore di colloquio con Martin Walser non avete fatto un'intervista. Ne avete fatte quattro o cinque. Lo scrittore — uno dei maggiori in lingua tedesca — è uno tsunami di idee originali, sue. Tutte, in fondo, riconducibili al fatto che l'equazione «Germania uguale a senso di colpa» è errata. Senza negare nulla del passato e degli orrori nazisti, naviga fuori dalla bolla intellettuale e mediatica che inflaziona, cioè annacqua, le tragedie. Vent'anni dopo la caduta del muro di Berlino, non smette di tenersi lontano da quella che tempo fa definì, tra lo scandalo, «industria dell'Olocausto»: successi intellettuali e politici costruiti su di esso. Walser — che ha dato questa intervista al Corriere in occasione dell'uscita in Italia di un suo romanzo del 1998, Una zampillante fontana (SugarCo), ha un'idea del suo lavoro diversa dalla maggioranza degli scrittori contemporanei. Non pensa di avere una missione sociale. «Uno scrittore non può credere di avere una funzione di aiuto— dice —. Nemmeno nella crisi che stiamo attraversando. Certo, ha un'influenza, ma come migliaia di altri. Deve semplicemente fare il suo lavoro. Se qualcuno mi ringrazia perché un mio romanzo l'ha aiutato, sono contento. Ma non è il mio scopo ». E su questo, già, si potrebbero scrivere mille righe. Quando Una zampillante fontana uscì in Germania, per dire, Walser fu criticato perché il romanzo — il cui protagonista, Johann, è lo scrittore stesso negli anni che vanno dal 1932 alla fine della guerra — non parla di Auschwitz.
«Ma nei romanzi io sto vicino al protagonista — spiega — Johann non poteva sapere di Auschwitz. Il fatto è che Auschwitz, come è trattato da molti, è un'emozione tedesca, un'atmosfera ideologica riscaldata artificialmente. Un obbligo che non permette l'estetica perché manca la prospettiva ». Ci sono momenti topici, nella cultura tedesca, nei quali si affermano concetti che non hanno senso, a suo parere. La famosa frase di Theodor Adorno, «dopo Auschwitz tutta la cultura è spazzatura», secondo Walser «non ha significato: la cultura non svanisce perché nella storia avviene qualcosa difficile da spiegare. Anche il "Dio è morto" di Friedrich Nietzsche non ha significato. Io preferisco Nietzsche ad Adorno, ma devo ammettere che non ha senso: è come dire "Urrah, sono paralizzato"». Vent'anni dopo la caduta del muro di Berlino, Walser osserva che oggi molti intellettuali tedeschi si perdono per i prati perché non riescono ad avere un legame con la realtà. Chiedetegli che cosa pensa del fatto che il premio Nobel Günter Grass sostenga che l'unificazione tedesca è stata un takeover del capitalismo occidentale sulla Germania dell'Est. «Bah, bah, bah — risponde —. Devo trattenermi enormemente su questo argomento ». Ma poi non si trattiene granché: «Ancora nel novembre 1989 (quando il muro cadde, ndr) gli intellettuali con Christa Wolf e Grass volevano una confederazione con due monete, due Paesi diversi ma con un confine aperto. E chi avrebbe lavorato ancora per uno stipendio dell'Est che sarebbe stato un terzo di quello dell'Ovest? Prima che il muro cadesse, ero a Dresda e ho visto carovane di umanità che urlavano «Wir wollen raus», vogliamo uscire. Tutto il Paese era una rivoluzione e questi intellettuali arrivano e dicono che le cose si devono fare in un altro modo. Una follia». Altre duemila righe, qui, ci vorrebbero.
«Tra questi intellettuali — continua Walser — c'erano anche quelli da sempre favorevoli a due Germanie, per motivi morali e politici, a causa di Auschwitz dicevano. Ma la divisione della Germania non fu fatta per Auschwitz, fu creata dalla Guerra Fredda, dai Mitterrand e dagli Andreotti. I nostri vicini non si interessavano del fatto che la Germania fosse divisa. Anche Willy Brandt, a un certo punto, disse che non dovevamo irritare gli altri con la nostra idea di riunificazione: tutta la Spd era per la divisione. Le cose sono molto più semplici di come le raccontano alcuni intellettuali: siamo stati divisi per 40 anni e serviranno 40 anni per riunificarci. L'idea che la Germania del-l'Est e quella dell'Ovest fossero due Kulturnationen era insostenibile, serviva solo a lasciare 17 milioni di tedeschi sotto lo stalinismo». Vent'anni dopo, però, siamo nel pieno della crisi più drammatica dagli anni Trenta. Già, dice Walser, «ma non si può usare la stessa parola: quella era una catastrofe, questa è una crisi, una differenza totale». Rassicurante e ottimista. «Tra cinque anni sapremo che abbiamo avuto una crisi e che il nostro sistema ha imparato qualcosa: non è immaginabile che, a quel punto, le speculazioni finanziarie abbiano ancora la possibilità di creare tanti danni. Una crisi è come un corso serio all'università ». A suo parere, gli intellettuali e l'informazione, di destra e di sinistra, su questo argomento sono del tutto non interessanti: «Scrivono perché per loro è una grande occasione, per istinto darwinista». Ma a suo parere dalla crisi usciremo migliori: in Germania, spiega, ci sono imprese in cui sindacati e padroni si accordano per il bene dell'azienda, tipo lavoro per 37 ore e stipendio per 35. Un'altra intervista di due pagine, meriterebbe. «Oggi, di fronte alla crisi, la scelta tra Angela Merkel e Frank-Walter Steinmeier (i candidati avversari alle elezioni del prossimo settembre, ndr) è una questione di gusto, non di politica — dice —. A me piace Frau Merkel, nonostante sia corsa da Bush quando Gerhard Schröder si oppose alla guerra in Iraq. E nonostante io pensi che lei non abbia, in quanto protestante del Nord, diritto di criticare Benedetto XVI, come invece ha fatto. Per criticare Ratzinger e i suoi si devono conoscere i meccanismi e i significati del loro agire. Ratzinger è sempre stato conservatore, anche da cardinale, ma di lui e di quelli che lo circondano mi piace il modo allegro del loro credere. Avere la capacità di essere religiosi è come avere un dono musicale: non tutti l'hanno. Mi piace così tanto questa cosa e questo mondo degli angeli che nel mio prossimo romanzo voglio che gli angeli abbiano un ruolo». Altra intervista sul Papa. A proposito del suo prossimo romanzo, Walser rivela che sta pensando alla riabilitazione del «mammone», il figlio di mamma. Il termine tedesco Muttersöhnchen, negativo, lo ha trasformato in Muttersohn (che prima non esisteva), positivo. «Sarà la storia di un trentenne — dice — al quale la madre spiega di averlo concepito senza un rapporto sessuale». Già sentita, come trama: ma l'abilità dello scrittore starà nel convincere il mammone della verità dell'evento con argomenti forti, seri, credibili. E, ovviamente, anche qui si preparano mille interviste fuori dall'ortodossia tedesca dei tempi. Intanto, dalla finestra di casa, Walser guarda la neve e il sole che, assieme, si stendono sul suo lago di Costanza. Anzi, sul Bodensee suo e di Johann, il ragazzo della zampillante fontana, il quale come lui aveva una madre iscritta al partito nazista, che teneva in piedi casa, e un padre antifascista, che suonava il pianoforte." (da Danilo Taino, Martin Walser contro Gunter Grass: 'Vuole fermare la Storia, una follia', "Corriere della Sera", 28/03/'09)

Nessun commento: