sabato 7 marzo 2009

La moglie del comandante di Ceridwen Dovey


"Helen Garner, australiana, nata nel 1942 e sicuramente una delle figure di maggior spicco nella letteratura del suo Paese, si è mossa fin dal suo esordio nel 1977 con il romanzo Monkey Grip, La presa della scimmia, sul terreno di quella che un critico ha definito 'la sottocultura della sopravvivenza', una sopravvivenza, va aggiunto, che scandisce la quotidianità, il dramma introiettato, mai vistoso, di un mondo borghese dove non esplode mai un’autentica tragedia, e nel quale prevalgono figure di donne o di adolescenti. Due donne campeggiano nel nuovo romanzo, che fin dal titolo, La stanza degli ospiti (The Spare Room), fissa lo spazio apparentemente ristretto della misura non soltanto narrativa. La stanza, in una abitazione dignitosa e confortevole alla periferia di Melbourne, è quella che la matura Helen, una divorziata, ma fondamentalmente appagata, nonna soddisfatta, prepara per ospitare la vecchia amica Nicola. Fin dall’inizio la situazione si carica di ciò che definirei affettuosa tensione, perché Nicola soffre di una grave forma di tumore all’intestino, e si è trasferita per affidarsi alle cure di un medico pronto ad affrontare situazioni disperate. La parola salvezza rimane nell’aria, paradossalmente, nei termini di una minaccia volutamente ignorata, mentre il rapporto tra le due amiche si arricchisce di piccole scoperte che sostanziano e insieme trascendono le circostanze e i sentimenti. Il medico appare in una luce al tempo stessa cinica e ambigua agli occhi di Helen, mentre le sembra di non riuscire più a comprendere il senso stesso della natura: memorabile la scena in cui, osservando i porcellini d’India del giardino, le sembra addirittura di odiare la loro insulsa natura, tanto da pensare allo Shakespeare di Re Lear: «Ma perché un cane, un cavallo, un sorcio devono avere vita /E lei nemmeno un soffio?». Nicola, inesorabilmente, si aggraverà e morirà, ma la sua partenza, dalla vita e dalla casa, trascenderà la vergogna, la frequentazione con la crudeltà della stessa condizione umana. La fine del turno di guardia all’ospedale dove Nicola è stata ricoverata acquista una valenza simbolica, la 'pace esausta' che caratterizza questo romanzo lucidamente simbolico nella sua penetrante dimensione esistenziale, affidata al linguaggio in prima persona di Helen, uno scandaglio mai sopra le righe, tradotto da par suo da Delfina Vezzoli. Il rifiuto attentamente progettato del romanzo nel senso tradizionale della parola, che percorre buona parte della letteratura australiana, acquista non di rado nella cultura del Sud Africa una valenza esplicitamente allegorica, non di rado favolistica, spesso inquietante se non addirittura tragica. Ne troviamo una conferma in un’altra scrittrice, appunto sudafricana, Ceridwen Dovey, nata nel 1980, con il suo romanzo di esordio che ha ottenuto un largo successo critico anche negli Stati Uniti, dove ora la scrittrice vive, e in Francia. Che La moglie del comandante (Blood Kin), brillantemente tradotto da Chiara Spallino Rocca, sia stato lodato da J. M. Coetzee non stupisce, dato che il taglio calcolatamente allegorico rimanda quasi inevitabilmente al modello del grande scrittore sudafricano, ma non parlerei di una diretta filiazione. Ci troviamo in un Paese senza nome, dove un dittatore andato al potere con un brutale colpo di Stato, il Dittatore, tiene in ostaggio il cuoco, il ritrattista e il barbiere del deposto Presidente. La figlia del cuoco, la moglie incinta del ritrattista, l’amante del barbiere moglie del Comandante sono costrette ad osservare, vivendo nell’ombra, le vicende sconvolgenti provocate dal nuovo ordine, e le raccontano in scattanti, incisivi monologhi, accanto a quelli della moglie del Comandante. Non è la ferocia della dittatura, la sua furia politica, a condurre il romanzo, bensì le ricadute esistenziali che interagiscono e condizionano i personaggi, costringendoli a una tragica riscoperta di se stessi e del mondo. La tragedia è nell’aria, e si consuma nelle ultime pagine del romanzo, in un incrocio che porta alle estreme conseguenze l’assurdo ma al tempo stesso ne legittima il significato vitale. La morte, come in La stanza degli ospiti, può valere come una rivelazione, come una scoperta, una libido." (da Claudio Gorlier, Dall’Australia al Sud Africa le vie del rifiuto, "TuttoLibri", "L aStampa", 07/03/'09)

Nessun commento: