martedì 17 marzo 2009

I doni della vita di Irène Némirovsky


"Un'altra grande storia uscita dalla penna sapiente di Irène Némirovsky. Per chi ha amato la Suite francese splendida e leggendaria, I doni della vita - ulteriore tappa del percorso che Adelphi sta compiendo esemplarmente - sarà una bella sorpresa, come un dietro le quinte, un romanzo preparatorio ma al tempo stesso perfettamente compiuto e del tutto autonomo(anche questo tradotto efficacemente da Laura Frausin Guarino). La vicenda della scrittrice, una delle più grandi del Novecento, è ormai nota: ebrea russa nata nel 1903 a Kiev, ne fuggì al seguito della sua famiglia al momento della rivoluzione d'ottobre con la meta della Francia, Parigi, la città in cui sua madre, amante della vita mondana, poté sfogare la sua indole in spregio di qualunque istinto materno e dove lei, Irène, superata un'adolescenza difficile e una prima giovinezza sbandata, trovò la sua strada scrivendo. Gli intellettuali parigini, quando ebbero in mano il suo primo libro - David Golder - stentarono a credere che potesse davvero averlo scritto una giovane donna di ventisei anni. In un primo tempo pensarono che dietro di lei si nascondesse uno scrittore noto, reticente per via della materia trattata: tutti i vizi del mondo della finanza. Anche la capacità di lettura del proprio ambiente con tanta ferma autocritica stupì all'epoca, al punto che - una volta accertata l'identità dell'autrice - si passò a considerarla geniale, anche (e da parte di alcuni soprattutto) in quanto ebrea in grado di ritrarre difetti e debolezze della sua gente. La deriva presa in quegli anni dalla Storia portò così da un lato a far passare Irène Némirovsky per antisemita - colossale e assurdo controsenso - d'altro lato, e nonostante i suoi tentativi di farsi proteggere da una Francia che pure l'aveva accolta e aveva riconosciuto il suo precoce talento, a gettarla senza remore in pasto alla belva nazista. Quando aveva scritto I doni della vita, negli ultimi mesi del 1940, il disastro era ormai vicino e la pubblicazione, a puntate sulla rivista Gringoire tra l'aprile e il giugno del '41, aveva dovuto essere coperta da anonimato. Era dunque uscito come 'romanzo inedito di una giovane donna', perché Irène ormai non poteva più firmare con il suo nome. Solo nel 1947, cinque anni dopo la sua barbara eliminazione, venne ripubblicato in volume. L'ambientazione della vicenda questa volta non era ebraica, ma il meccanismo che sta alla base della scrittura della Némirovsky, cioè la sua abilità nel cogliere il punto molle e sensibile di un mondo cui è molto legata per averci vissuto e averne condiviso le eventuali aberrazioni, era all'opera anche qui. Aggravante, per i censori dell'epoca: il romanzo conteneva, nella sua parte conclusiva, una sorprendente anticipazione di come sarebbero andate le cose nei mesi a venire. Gli Hardelot, proprietari delle omonime Cartiere, sono ricchi e borghesi e molto ligi alle regole di classe. Sono di Saint-Elme, cittadina di provincia che vive nell'ossequio della loro intonsa rispettabilità. Pierre, figlio unico, unico erede e promessa di salvaguardia del sordido borghesismo degli Hardelot, sta per accettare le ragioni di un destino segnato, e sposarsi con la donna scelta per lui dai genitori - troppo grassa, troppo inerte, troppo burrosa per i suoi gusti, ma adatta socialmente e economicamente - quando compie per salvarsi un colpo di testa e si oppone, sposando invece la donna che ama. Il romanzo segue i casi esemplari di questa coppia indomita dal 1910 (vacanze di famiglia ingessate a Wimereux sulla Manica, preambolo al gran gesto) fino allo scoppio della Seconda Guerra mondiale passando per la Prima. Il meccanismo descritto da Irène Némirovsky è quello per cui la solida classe media francese non si lascia destabilizzare da nulla e avanza indisturbata tra venti e tempeste riuscendo a reagire - basta darle il tempo - a ogni attacco. Riuscendo però anche ad assumere le necessità del cambiamento, dando prova di una forma di adattabilità, funzionale alla perpetuazione del privilegio. Pierre e Agnès così rientrano in quel sistema a cui si erano ribellati (e lo stesso farà il loro figlio Guy) ma consapevolmente, e capaci nonostante tutto di difendere quei beni, i doni della vita, per i quali si sono battuti: i sentimenti dell'uno per l'altra. Una grande vicenda d'amore, insomma, che vive nonostante la Storia e la Società, e pur non potendo sottrarsi ad esse." (da Gabriella Bosco, E' l'amore il più bel dono della vita, "TuttoLibri", "La Stampa", 14/03/'09)

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