venerdì 20 marzo 2009

La vicevita di Valerio Magrelli


"Quello che ogni giorno un pendolare passa sul treno è un tempo morto: come si usa dire con esattezza brutale quanto inapparente. Scrive Valerio Magrelli nella sua deliziosa La vicevita fresca di stampa (che si aggiunge, volutamente senza mai citarla, all'imponente letteratura «a vapore» qui sotto riassunta): «La nostra vita pullula di queste attività strumentali e vicarie, nel corso delle quali, più che vivere, aspettiamo di vivere [...]. Sono i momenti in cui facciamo da veicolo a noi stessi. È ciò che chiamerei: la vicevita». Una vita a metà (o una «mezza morte», appunto, per dirla con Savinio). Quello in treno, per chi se ne serve tutti i giorni, nulla conserva del timore o dell'eccitazione del «viaggio» d’antan: è un circuito che si ripete noiosamente sempre uguale nonché, purtroppo, sempre diverso: costellato com'è di microdisagi, microincidenti, microdisavventure di tutti i tipi. Ogni giorno ce ne capita una: sino a lentissimamente disintegrarci. Per difendersi da questo bradisismo corporeo e nervoso, i pendolari adottano gli stratagemmi più fantasiosi; ma l'entropia sottile che corrode la loro vita, proprio come la lima del poeta, presto o tardi li riduce in polvere. Lo sapeva Kafka: fanno più spavento mille punture di zanzara che un colpo di sciabola. Nel tempo in cui il treno simboleggiava l'irruzione - traumatica, euforizzante, spesso le due cose insieme -della sciabola-modernità nella nostra vita, ciò che si vedeva dal finestrino era in grado di trasformare radicalmente le categorie di tempo e spazio. In una lettera alla moglie scriveva Victor Hugo nel 1837: «La velocità è inaudita. I fiori ai bordi del campo non sono più dei fiori, sono invece delle macchie o meglio dei raggi rossi o bianchi». Quella velocità «inaudita» non doveva in realtà superare, allora, i cinquanta all'ora; ma bastava, come si vede, a prefigurare Monet o Kandinskij. Si pensi poi al terrore destato negli spettatori da una delle primissime riprese cinematografiche dei fratelli Lumière (appunto L’arrivo del treno, 1896). Trauma per eccellenza, sino a circa mezzo secolo fa, l'Incidente ferroviario. Non che non se ne verifichino più, ma l'Incidente per antonomasia è da tempo divenuto quello aereo (col rilancio spettacolare dell'11 settembre). In treno avvenivano svolte radicali: s'intrecciavano affari, amicizie e amori, complotti, delitti e misfatti. Si pensi all'immaginario cinematografico, da Von Sternberg a Hitchcock. Oggi invece il treno è, al limite, protesi dell'ufficio. Del primo Mission: Impossibile di De Palma resta nella memoria la scena in cui la spia smanettona (l'icastico nero Ving Rhames) ordisce il «colpo» dal cablatissimo laptop che ha portato con sé sull'Alta Velocità in cui, nel frattempo, ne succedono di tutti i colori. Ancora sino al capo d'opera del «nouveau roman», La modificazione di Michel Butor, nel percorso da Parigi a Roma il tempo bastava per un cambiamento, appunto, di portata radicale. Oggi invece la pratica che abbiamo del treno lo fa assomigliare sempre più ai trenini giocattolo dell'infanzia, legati a un circuito sempre uguale (un «orbitare domestico», lo definisce Magrelli). Il che non toglie che, forse per la memoria culturale e letteraria che si porta dietro (basti pensare alla Shoah, della quale il treno piombato è divenuto emblema), esso porti in questa annoiata quotidianità una sfumatura perturbante e quasi minacciosa, come in un quadro di René Magritte (La durée poignardée, 1938): nel quale dal camino di un innocuo interno borghese all'improvviso spunta un piccolo treno che tuttavia, fumando, dimostra di non essere affatto un giocattolo. Per questo in treno comunque si presta attenzione: ai nostri compagni di viaggio o, specchiandoci nel finestrino, a noi stessi. Oggi però, annota Magrelli, col diffondersi del modello Eurostar, sta sparendo un luogo antico (e letterariamente assai connotato, appunto) come lo scompartimento: mediante il quale «per molto tempo, il treno è stato il solo mezzo di trasporto che [...] favorisse il coagularsi di piccole comunità nate dal caso». Il treno era - e tale resta, appunto, solo nelle linee periferiche usate dai pendolari - luogo deputato agli incontri. Fuggevoli, magari decisivi. Il momento in cui un gruppo di pendolari sale sulla carrozza dalla quale ne scende un altro viene fotografato da Magrelli, nella sua prosa più lirica, ungarettianamente: «Loro si avviano, noi li sostituiamo, in un mesto commercio di respiri». Commuters, si dice in inglese. La vita, quella, non cambia più. Al limite si scambia: che è dire quasi il contrario." (da Andrea Cortellessa, Ma viaggiare in treno non è più un frisson, "TuttoLibri", "La Stampa", 14/03/'09)

1 commento:

Antonio ha detto...

"Quello che ogni giorno un pendolare passa sul treno è un tempo morto: come si usa dire con esattezza brutale quanto inapparente".(Magrelli)

Gentile Magrelli,ho avuto la gioia di avere tra le mani un racconto dal titolo "Il treno delle 8".Tra le altre cose l'autore scrive:"...Il mondo dei viaggiatori pendolari era composito, ricco di differenze, - sociali culturali professionali, - ma unito sotto l'unico valore del rispetto e dell'amicizia, della gioia di stare insieme,
per poco tempo, era vero, ma continuamente ogni mattina per decine e decine di settimane, cosi che - ed ognuno ne era consapevole, - la somma di tanti istanti faceva l'ammontare di un tesoro di visioni sentimenti e gesti tutti raccolti nel calice sacro dell'autenticità, della gioia espressa, della confidenza accolta, della condivisione sperimentata di valori e desideri, ma anche di ansie e preoccupazioni, che diventavano comunicabili e quindi riducibili nei loro effetti negativi.

Era quel viaggio, in carrozze in cui viveva la sperimentazione dell'amicizia d'amore, una sosta nel flusso del tempo corrente, sempre più corrosivo dei corpi e delle anime, un ritorno a memorie sensazioni pensieri sguardi volti perduti nell'affanno quotidiano, in cui era perduta ogni armonia nelle relazioni tra le persone e negli effetti che sulle persone producevano gli eventi naturali e storici. La sperimentazione riusciva ad ogni viaggio e ognuno si convinceva ed imparava che la solitudine si può sconfiggere, che la paura del dire di sè ad un altro era annullata, che l'ascolto dell'altro era un pegno ed un impegno".
Più che un commento al libro mi premeva fare una riflessione sull'idea di "tempo morto".
Grazie per l'attenzione