domenica 15 marzo 2009

Sul palcoscenico basta il testo!


"Nel dibattito suscitato dai recenti articoli di Alessandro Baricco, è sembrato prevalere - nei propugnatori delle scene - un 'teatro di macchine', al quale ci hanno abituato i dispendiosi allestimenti degli ultimi decenni, lasciando in penombra il fatto che i grandi testi della letteratura italiana sono naturaliter, a cominciare dalla Commedia di Dante, 'teatro dell'anima'. Non c'è bisogno di pensare a Benigni per ricordare che tre grandi poeti del Novecento hanno offerto una splendida traduzione scenica della Commedia: Edoardo Sanguineti, Commedia dell'Inferno (Carocci), Mario Luzi, Il Purgatorio. La notte lava la mente, Giovanni Giudici, Il Paradiso. Perché mi vinse il lume d'esta stella (Costa & Nolan). Non c'è bisogno di ricorrere ai grandi classici della letteratura teatrale italiana (dal Tesauro all'Alfieri, da Goldoni a Da Ponte, da Metastasio a Pirandello, etc.) per avere coscienza che il testo 'si destina' al lettore con molteplici artifici scenici. Ho segnalato in altra sede quanto della prima parte dei Promessi sposi (dalla notte degli 'imbroglioni' alla 'carità pelosa') debba alle Nozze di Figaro: ma si sa, Manzoni era avvertito autore di teatro. Più importa osservare che persino un autore squisitamente lirico come il Petrarca sia, nel suo Canzoniere, eminentemente teatrale, esibendo scene di dialogo non soltanto con la propria coscienza e memoria (come nel Secretum), ma ancora con il proprio cuore: [...]. Occorre allora ripensare radicalmente la natura profonda del testo e del teatro (in greco: 'luogo e cosa da contemplare'): le Lezioni americane di Calvino che Giorgio Albertazzi ha portato in questi mesi in scena (ora a Bellinzona, poi a Matera) puntano proprio su questo carattere di 'visibilità' del testo, che non ha bisogno di essere 'caricato' di orpelli scenici, ma semplicemnete di essere riconosciuto come 'forma in atto' della creazione. Così Calvino: 'Lo spiritus phantasticus secondo Giordano Bruno è "un mondo o un golfo, mai saturabile, di forme e di immagini'. Ecco, io credo che attingere a questo golfo della molteplicità potenziale sia indispensabile per ogni forma di conoscenza' (Visibilità). Lasciamo parlare, dal suo profondo 'golfo mistico', il testo: la sua scena è il mondo, il presente e il passato, il possibile e l'impossibile. Più il testo avanza in scena e meno ha bisogno di spazi e di ornamenti: basti pensare alla lezione di Samuel Beckett (un solo albero per En attendant Godot, un ombrello e della sabbia per Oh! Les beaux jours ...). Se mi è permesso un neologismo, direi che il teatro - come il testo - debbono 'de-reificare' la nostra mente già troppo ingombra di oggetti, di paludamenti, di cascami visivi: Calvino ancora, ad inizio della sua Visibilità, lo richiama mirabilmente: 'C'è un verso di Dante nel Purgatorio (XVII, 25) che dice "Poi piovve dentro a l'alta fantasia". La mia conferenza di stasera partirà da questa constatazione: la fantasia è un posto dove ci piove dentro. Queste visioni insomma si vanno progressivamente interiorizzando, come se Dante si rendesse conto che è inutile inventare a ogni girone una nuova forma di metarappresentazione, e tanto vale situare le visioni nella mente, senza farle pasare attraverso i sensi'. A questo deve mirare la scena: a 'portar dentro' il teatro dell'anima la parola del testo per farla dibattere dalla nostra coscienza e responsabilità (non altro in fondo era la greca catarsi, in nome della quale il teatro è nato). Salutare è dunque la presente, e necessaria, riduzione di sussidi a tutte le arti dello spettacolo, salutare e vivificante: meno dovrà - spero - contare l'onere degli allestimenti che l'onore dei testi." (da Carlo Ossola, Sul palcoscencio basta il testo!, "Il Sole 24 Ore Domenica", 15/03/'09)

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