mercoledì 25 marzo 2009

L'invenzione dell'isteria di Georges Didi-Huberman


"Nel 1862 Jean-Martin Charcot diventa direttore dell'ospedale psichiatrico di Parigi, la Salpêtrière, dove si trovano ricoverate tra 4000-5000 donne. In questo luogo il medico francese «scoprirà» l'isteria, o meglio, l'inventerà negli anni a seguire, come intitola il suo saggio Georges Didi-Huberman. L'isteria è una nevrosi dai quadri clinici molto differenti, conosciuta prima ancora della nascita della moderna psicologia, e della stessa psicoanalisi, fondata su una sorta d'irritabilità, cambiamento d'umore, crisi e agitazioni del corpo. Ippocrate la riteneva propria della donna; la parola stessa, isteria, viene dal greco e indica l'utero, e si riteneva causata dal cattivo funzionamento dell'organo femminile. Charcot separa le ricoverate affette da questa nevrosi, o almeno ritenute tali, e le include in una sezione apposita del suo manicomio, che diviene, rispetto al resto del reclusorio, un purgatorio; là eserciterà la sua ossessiva osservazione. Ogni martedì tiene lezione mostrando al pubblico dei suoi ascoltatori - medici, studenti, curiosi - i casi che va scoprendo. Tra loro uno straordinario, forse il più importante di tutto il suo «catalogo»: Augustine. Si tratta di una giovane, ricoverata a quindici anni per una serie di sintomi classificati come isterici, e poi rimasta a lungo nel reclusorio. Augustine è il soggetto principale, o meglio, il più interessante dei pazienti che servono a Charcot per «inventare» l'isteria moderna, di cui ci restano le straordinarie immagini. Il principale strumento che lo psichiatra usa per osservare e commentare la malattia, i suoi variegati segni, è la fotografia. Questa è la grande invenzione di Charcot: l'uso del mezzo fotografico che gli consente di tramandare sino a noi l'insieme delle sue teorie; oltre i libri, le lezioni, i resoconti, le biografie, la fotografia diviene la forma stessa dell'isteria. Mostrare quello che si vede, così come lo si vede? Questo si
domanda Didi-Huberman, e si risponde che l'immagine è il problema principale di questa malattia che nel frattempo è divenuta un luogo comune nelle nevrosi contemporanee, tanto da farci pensare che sia un fenomeno diffusissimo, qualcosa che riguarda persino i comportamenti sociali: vere e proprie epidemie che si diffondono in momenti particolari nella collettività. Forse non è un caso che un altro indagatore, Alphonse Bertillon, nel medesimo periodo, abbia messo a punto un sistema per classificare e schedare mediante la fotografia i criminali e i recidivi; membro del corpo della polizia parigina, egli è l'inventore delle schede segnaletiche esempio eccellente di schedatura e classificazione della popolazione. Le istantanee di Charcot sembrano offrire una certezza che supera quella stessa dell'occhio umano, così da oggettivare una scienza, la medicina, fondata sul colpo d'occhio, sulla lettura visiva dei sintomi. Il libro dello storico dell'arte francese L’invenzione dell’isteria (Marietti) mette in luce come la malattia individuata dal medico presuppone una «messa in scena»: le donne-attrici la rappresentano sul palcoscenico della Salpêtrière, mentre i medici-spettatori la guardano seduti in platea. Charcot ne è il regista. L'idea che muove questo studio è in effetti quella della visione di Charcot come «artista», ovvero creatore di una malattia che è fondata sulle espressioni del corpo, i gesti, i movimenti, le smorfie e i contorcimenti, una sorta di danza magica, di cui l'osservatore clinico sembra il suscitatore e il destinatario.
Forse l'isteria non esiste? Didi-Huberman non si preoccupa di smentire o confermare Charcot; gli interessa piuttosto mettere in luce, come sottolineano nella prefazione Riccardo Panattoni e Gianluca Solla, l'aspetto estetico, la «forma» dell'isteria stessa. Ed è proprio questa chiave che ci permette di passare dalle pagine del libro alla realtà stessa, quella che viviamo oggi, di guardarla attraverso il racconto di Didi-Huberman. La nostra società sembra dedita in ogni suo aspetto all'elemento estetico, non tanto o non solo il bello, quanto l'estetico sotto ogni aspetto, kitsch compreso. L'estetizzazione della vita quotidiana è un evento incontrovertibile della contemporaneità, che pratica, spesso senza rendersene conto, un vero e proprio culto della forma. Non solo la moda o il design, la pubblicità o il costume, ma ogni lato della nostra vita sembra intonato alla ricerca della «forma». Inoltre, ci muoviamo all'interno di un teatro dell'esistenza di cui non cogliamo quasi mai l'esistenza. Come il protagonista di The Truman Show, siamo dentro uno spettacolo di cui recitiamo al medesimo tempo la parte di osservati e di osservatori, attori e registi degli altri e di noi stessi. L'occhio domina sovrano, mediante l'uso di differenti tecnologie della visione e dell'osservazione. In questo contesto, l'isteria resta ancora, insieme al suo opposto - il sonnambulismo catatonico, come mostrava lo stesso Charcot -, una delle nevrosi più diffuse. L'eccitabilità e la passività sono oggi i ritmi bipolari che scandiscono gli eventi della nostra stessa società" (da Marco Belpoliti, Va in scena Augustine Madame Isteria, "TuttoLibri", "La Stampa", 21/03/'09)

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