lunedì 23 marzo 2009

Peccati capitali di Aviad Kleinberg


"Il peccato è fuori moda. Per usare un eufemismo - quanto mai inadeguato al contesto -, ha perso consistenza. Nella vita comune, la sfera religiosa è sempre più sbiadita (oppure vira verso l'oltranzismo) e d'altro canto l'universo laico, teoricamente indifferente ai canoni della fede, il peccato non sa proprio come gestirlo. Pensare che, come dice giustamente Aviad Kleinberg, storico israeliano di cui ora il melangolo manda in libreria Peccati Capitali (peccato, ops ... per qualche caduta nella resa italiana di termini ebraici), ci confrontiamo continuamente con il vizio. Fa parte della vita di tutti, seppure in misura e proporzioni sempre variabili. Il punto dunque è: in un presente così scardinato come il nostro, che fare di questa irrimediabile pochezza umana? Non esiste ovviamente una risposta univoca. Forse non esiste risposta che tenga e anche qualora la si trovasse, sarebbe inutile. E' lecito pensare che avrebbero volentieri sottoscritto questo scetticismo condito di rassegnazione anche Adamo ed Eva. Che magari avevano ancora tutto o quasi da imparare, ma in fatto di peccati (giustappunto ...) non sono secondi a nessuno. Anzi, indiscutibilmente «originali». Tuttavia, è doveroso precisare che la storia di quella fatale caduta è ancora tutta da vedersi, e lascia adito a una vastità quasi inesauribile di letture, interpretazioni, giudizi. Mettiamola così: Eva aveva tutto il diritto di non sapere, di ignorare la proibizione calata dal cielo a chiare lettere. Quando Dio ingiunge al neonato Adamo (che poi in ebraico significa genericamente «uomo», come a dire che nessuno è escluso) di mangiare quel che gli pare, tranne quel frutto là, Eva è ancora da venire. Assente più che giustificata, dal momento che nessuno l'ha già creata. Comunque siano andate le cose, di lì in poi la storia è più o meno chiara. Per il cristianesimo, ogni individuo nasce con addosso il fardello di quel peccato originario, e la vita non è altro che un faticoso, impervio, per lo più fallito percorso di riscatto. Attraverso la fede ma soprattutto le opere, si rende possibile (ma a duro prezzo) l'affrancamento dalla tara che ci portiamo in quel DNA non genetico bensì etico. Biblico. Religioso. Lo si può chiamar come si vuole, ma innegabile resta la sua invadenza. Per l'ebraismo però, e anche per l'islam, il discorso non è propriamente in questi termini. L'errore della prima coppia non depriva noi. E' «soltanto» (si fa per dire) un'ammonizione. Il preludio a una storia imperfetta. Del resto, l'esercizio della morale deve presupporre la disponibilità del libero arbitrio, che l'idea di peccato originale, cioè congenito, inevitabilmente scalfisce. Solo potendo scegliere, compiere il bene è un merito e peccare diventa una colpa. Eppure, tutte le fedi galleggiano sull'evidenza che l'umanità nasce debole, vocata a fallire. Aviad Kleinberg affronta la questione non da poco con un tono nuovo. Moderno e spregiudicato, nel senso che è libero dai pregiudizi: onestà non da poco, in un campo minato come questo. E per di più, è armato di una grande competenza in materia, da studioso di teologia cristiana. Ebreo e israeliano. Una condizione dunque in bilico, ideale per guardare ai tradizionali vizi capitali con un occhio nuovo, di particolare riguardo: accidia, invidia, lussuria, gola, avarizia, ira, superbia. E ipocrisia come apparato finale ... Due sono gli aspetti di questa salutare schiettezza nell'approccio. Il primo deriva dall'assunto che il vizio è parte integrante della nostra «normalità». Anche di chi scrive e che, nel caso di Kleinberg, non esita ad ammettere che l'argomento è così spinoso ed endemico da escludere la possibilità di un approccio distaccato. Su un terreno come questo, in parole povere, non si può non cadere nell'autobiografico. Quando si parla di queste cose, ognuno di noi ha qualcosa da raccontare, e lo storico non esita a chiamarsi dentro. Ma al tempo stesso egli cerca un contatto «disinteressato» con la materia, prova a non militare, non tirare l'acqua al mulino di nessuna confessione, nessun sistema morale. Il risultato è una affascinante narrazione dentro le umane passioni, anche e soprattutto le più scomode." (da Elena Loewenthal, Lo scetticismo cancella la colpa, "TuttoLibri", "La Stampa", 21/03/'09)

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