mercoledì 18 marzo 2009

Libri segreti di Andrea Cortellessa


"Un certo luogo comune vuole che oggi ci siano pochi validi narratori, nel nostro Paese, ma personalmente sono uso a reagire contro una simile asserzione additando una schiera multiforme di giovani talenti impegnati nel romanzo. In realtà, la carestia riguarda un'altra figura del fronte letterario, quella del critico, non so se questo dipenda da avverse congiunzioni stellari, o più semplicemente dall'essere venuto meno lo strumento in cui i talenti in erba della critica si facevano le ossa, la rivista, rara di numeri, ma preziosi, votati a scavi in profondità. Al suo posto ci sono i pezzi sempre più brevi della grande stampa, ma soprattutto chi si muove nelle lettere è impaziente, mira subito al risultato tangibile, al prodotto narrativo di larga diffusione, saltando a piedi pari le pazienti vigili e consumate nel lavorio critico-filologico. Tutto questo per dire che una personalità come il quarantenne Andrea Cortellessa spicca nel vuoto, trovando ben pochi compagni di strada, e la sua raccolta recente, Libri segreti (Le Lettere), lo sta a dimostrare, apparendo come una palestra in cui il giovane candidato alla leadership nel settore si è fatto le unghie sul sacro corpo dei maggiori, partendo da una dichiarazione perentoria, essere stato Gianfranco Contini il miglior esponente della critica del Novecento, magari appaiato, sul fronte dell'arte, da Roberto Longhi. E dunque, nulla di più logico che l'adepto vada a smontare i meccanismi dei due per impadronirsene. Nelle loro indagini essi erano capaci di sorprendere il punto «segreto», l'ombelico attorno a cui si costituiva l'intero sistema dello scrittore o del pittore studiato, e lì portavano un magistrale colpo di karaté. La similitudine volutamente rozza vuole proprio essere un omaggio al loro metodo, che sapeva mescolare a meraviglia l'uso di un vocabolario culto e sofisticato a vocaboli dotati invece di una piena fisicità. Una specie di doccia fredda, una congiunzione ossimorica che Cortellessa, per parte sua, riprende con bella sicurezza. Magari, in quest'ottica, risulta alquanto inutile perdere tempo col troppo discorsivo Emilio Cecchi, un campione da cui il Nostro sembrerebbe decisamente scostarsi. Invece un limite del discorso critico di Contini, e anche di Longhi, stava nel diffidare di apporti di specie filosofica, mentre nella panoplia del Nostro entrano anche questi strumenti. In effetti il primato che accorda a Contini risulta poi nella pratica temperato dal riconoscimento che va a Luciano Anceschi, il grande patron della neoavanguardia, nutrito di fermenti filosofici, non per nulla incentrati attorno alla fenomenologia. Andando poi a vedere come Cortellessa porta i suoi colpi di karaté sui punti critici, o «segreti» dei testi esaminati, ecco un magistrale intervento su Alfredo Giuliani, ricondotto a una parola-chiave, di lampante brutalità materialista, il «rompimento». Giuliani, alla testa dei Novissimi, rompe l'andamento placido e sornione del flusso di parole, spezza i ritmi sintattici. In proposito può valere un accostamento a quanto era già avvenuto nelle arti visive, in cui le avanguardie, col Dadaismo in testa, avevano smesso di rappresentare, ma prendevano frammenti del reale e le gettavano sulla scena «tali e quali», ready-made, per dirla con Duchamp. Un altro punto «segreto» su cui Cortellessa va a colpire con acume continiano, è quella curiosa soluzione di continuità che ha interessato la produzione narrativa di Gianni Celati. Questo autore, in una prima fase, si era affidato alle risorse del comico (Le avventure del Guizzardi), filtrando l'intera esperienza di vita attraverso gli occhi e i sensi di un giovinastro un po' già di testa, portato naturalmente a dar luogo a tante gags. Ma era un'impostazione troppo unilaterale, troppo monologica, occorreva sospendere il giudizio, ripartire con criteri più mobili e oscillanti, disseminati a raggiera verso altre zone di esperienza. Per maturare questa svolta tanto l'autore, Celati, quanto il suo esegeta si danno a un'utile sbornia di letture filosofiche, in cui entrano Bachtin, Foucault, Derrida, Melandri. E' la ricognizione testuale a infliggere la ferita, ma poi il metodo la allarga e la rende comprensibile." (da Renato Barilli, Affrontare i testi a colpi di karaté, "TuttoLibri", "La Stampa", 14/03/'09)

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