"Che strano, e sfuggente romanzo, ha scritto Paolo Giordano con La solitudine dei numeri primi (Mondadori).
Questo torinese venticinquenne, al suo esordio, non ha fatto le cose facili. La struttura ordinata, a segmenti temporali, il linguaggio piano e la stessa linearità dell’intreccio si propongono di svelare realtà inquietanti. L’avvio ha una brusca evidenza, segnala fatti destinati a condizionare per sempre la vita dei protagonisti. Alice è una bambina costretta dal padre, fanatico sportivo e salutista, a frequentare una scuola di sci ma, durante una discesa fuori pista, cade e si spezza una gamba. Si porterà quella gamba offesa come un marchio indelebile, di frustrata separatezza. Mattia ha una gemella, Michela, che è ritardata di mente, e lui non sopporta di accudirla, di mostrarla ai compagni di scuola. Una sera, andando a una festa, abbandona la sorella nel parco, fiducioso che, nella sua atonia, starà tranquilla ad aspettarlo. Ma Michela sparisce e non sarà più ritrovata, imprimendo nell’animo di Mattia un cocente rimorso. Il ragazzo crescerà insensibile ai diletti dell’adolescenza, oltreché alle sue sciocche dissipazioni, dedicandosi interamente allo studio. Si sente protetto e rassicurato dalle scienze esatte, che applica ad ogni minima circostanza (l’inclinazione della pioggia, la rifrazione della luce, la disposizione degli oggetti) come se dovesse circoscrivere e contrastare 'il disordine del mondo'. Del quale fa parte oscuramente il non sopito senso di colpa per l’abbandono di Michela. Accade poi che Mattia e Alice si incontrino al liceo e provino una misteriosa attrazione: 'lui rifiutando il mondo e lei sentendosi rifiutata dal mondo, e si erano accorti che non faceva poi una gran differenza'. E’ un legame fatto di lunghi silenzi, di una vicinanza continuamente cercata ed elusa. Forse Alice, nemica del suo corpo fino all’anoressia, incarna per Mattia la perduta immagine di Michela, nel loro contrastato rapporto si ripete quella vecchia storia. Così l’abbandono, anche questa volta, sembra inevitabile, come un maleficio, favorito apparentemente dalle esigenze di carriera che portano Mattia in un paese lontano. Ubbidirà brevemente al richiamo di Alice, che si era rassegnata a infelici nozze, ma scoprirà che l’antica fiamma si è spenta, che entrambi sono consegnati a una insuperabile solitudine. Il romanzo di Giordano disegna, tra vari accidenti e personaggi, sullo scenario di una Torino accennata con tratti discreti, la storia di un amore inconcluso, di un perdersi e ritrovarsi, che potrebbero durare al di là dell’esito provvisorio stabilito dall’autore. A chiarire la situazione è Mattia che, attingendo come lo stesso Giordano alle sue conoscenze di studioso, assimila la condizione propria e di Alice a quelli che i matematici chiamano numeri primi gemelli, a coppie di numeri 'che se ne stanno vicini, anzi quasi vicini, perché fra di loro vi è sempre un numero pari che gli impedisce di toccarsi per davvero' e se ne restano così 'soli e perduti', avvinghiati alla loro mortificata e orgogliosa diversità. E’ una spiegazione che vale a ribadire l’ineluttabilità di un destino, ma appare un poco artificiosa. Hai quasi l’impressione che il romanzo sia stato scritto per verificare l’assunto scientifico, sia cioè tributario di un compiaciuto e complicato gioco dimostrativo. Che riesce abbastanza superfluo rispetto alle sue pagine promettenti e vive." (da Lorenzo Mondo, Mattia e Alice soli come i numeri primi, "TuttoLibri", "La Stampa", 02/02/'08)
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