mercoledì 8 luglio 2009

Starobinski: "Medicine per l’anima. Se le persone contano più dei farmaci"


"Il mio rapporto con la scienza è avvenuto in ambito medico, più specificatamente nell´ambito clinico. Ho fatto esperienza di pratica ospedaliera, ma non nei laboratori della ricerca di base dove le conoscenze biologiche si costruiscono con il supporto delle scienze cosiddette "esatte". Per cinque anni sono stato assistente in un reparto ospedaliero di medicina interna. Ho così avuto la possibilità di constatare, ancora alla fine degli anni Quaranta, come si morisse di poliomielite o di tubercolosi in un Paese benestante. Ho avuto la fortuna di poter somministrare i nuovi preparati che il progresso scientifico andava mettendo a nostra disposizione: antibiotici, corticosteroidi, antipertensivi, anticoagulanti, vaccini. Ho dunque toccato con mano come potessero cambiare i destini dei malati, come si arricchisse l´assortimento delle risorse terapeutiche disponibili, e come si allungasse l´aspettativa di vita. I cambiamenti ai quali ho potuto assistere nella mia vita mi hanno reso poco recettivo nei confronti delle svariate forme di contestazione nei confronti della scienza medica che si sono susseguite da allora.
Più avanti, nel 1957, quando sono entrato a far parte dello staff medico dell´Ospedale psichiatrico di Cery nei pressi di Losanna, ho assistito ad altri progressi ancora: la calma, nelle sale e nei corridoi, regnava da poco. Era tuttavia inquietante. La clorpromazina (disponibile nel preparato Largactil) si era rivelata un neurolettico efficace contro l´irrequietezza degli schizofrenici, solo che molti di questi malati, un po´ recalcitranti, cominciavano a evidenziare i sintomi di un Parkinson indotto dal farmaco, a riprova, impressionante, dell´importanza degli "effetti collaterali" in farmacologia!
In quegli stessi anni 1957-1958, raccolsi con i miei colleghi alcune osservazioni cliniche sulla recentissima terapia farmacologica della depressione: l´imipramina (Tofranil di Geigy) era appena stata immessa sul mercato e la sua efficacia era apprezzabile: i grandi depressi uscivano quasi miracolosamente dalla loro prostrazione. Tuttavia, questo farmaco ci obbligava a tenere rigorosamente sotto controllo i suoi effetti collaterali, perché con il ritorno della mobilità e dell´istinto a muoversi si assisteva a un risveglio degli impulsi suicidi. Insomma, per alleviare la sofferenza della depressione si sarebbero resi necessari ulteriori progressi. Nel caso specifico io contribuii prendendo parte a uno studio storico: nel 1958 avevo già pubblicato diversi testi di critica letteraria, ma la prassi accademica mi imponeva di pubblicare ancora un´ultima ricerca per ottenere il titolo di dottore in medicina. Lo feci, a partire dalla mia recente esperienza in ambito medico e dalla mia prima formazione in lettere classiche, redigendo una Storia della terapia della depressione, che fu pubblicata, fuori commercio, nella serie degli Acta Psychosomatica dei laboratori Geigy. Il mio studio riporta il sottotitolo Dalle origini al 1900. La restrizione della finestra temporanea può apparire enigmatica: perché mai fermarsi infatti alla data arbitraria del 1900? Perché lo studio dedicato alla storia recente della terapia della depressione era toccato a Roland Khun, che era stato lo scopritore dell´efficacia antidepressiva dell´imipramina. Nelle sue vesti di responsabile medico dell´ospedale psichiatrico di Münsterlingen (nel cantone di Turgovia), egli aveva accettato di sperimentare questa nuova sostanza che il laboratorio di produzione sperava potesse rivelarsi efficace in un ambito completamente diverso da quello della psicosi depressiva. L´attenzione, il metodo, l´intuizione clinica di Roland Khun lo portarono a scoprire la proprietà basilare di quel farmaco, che l´avrebbe fatto diventare – al pari di preparati analoghi – indispensabile nella pratica psichiatrica.
Per diverse ragioni, però, Roland Khun dovette rinunciare a scrivere la monografia. Nel frattempo, avevamo iniziato a comunicare per corrispondenza, diventando interlocutori e infine amici a distanza. Ciò che ho maggiormente amato in lui – e che mi pareva avere somma importanza nella pratica psichiatrica – era il modo col quale sapeva mettere in atto un approccio medico e psicoterapeutico completo, che interessava due aspetti intellettuali di ordini diversi ma complementari: da una parte la spiegazione scientifica, dall´altra una simpatia illuminata, ovvero una comprensione partecipe e riconosciuta derivata dalla riflessione.
Ho l´impressione di essermi trovato, all´epoca, a un crocevia molto trafficato, in corrispondenza del quale confluivano e si intersecavano molti itinerari di ricerca del secolo scorso. Roland Khun aveva scritto un interessante studio sul test di Rorschach e la percezione delle maschere da parte di alcuni soggetti sottomessi a quel test. Scrissi un resoconto su quello studio per la rivista Critique, diretta da Georges Bataille, perché la questione della maschera mi aveva interessato sul piano dell´espressione letteraria. Nello specifico, la mia attenzione era attirata dalle opere letterarie il cui intento dichiarato o il cui tema era la denuncia della menzogna e dell´inautenticità. Il mio primo progetto di saggio letterario, presentato al mio maestro e amico Marcel Raymond, si intitolò I nemici della maschera. Avevo in mente di parlare, in uno stesso volume, di Montaigne, La Rochefoucauld, Rousseau, Stendhal, Kierkegaard, Valéry. Più avanti vi aggiunsi Freud, non tanto come maître à penser, quanto come oggetto di studio. Nel caso di alcuni di loro, era doveroso ammettere che quegli amanti della verità non avevano esitato a ricorrere a pseudonimi, e che altri ancora si erano immedesimati in diversi personaggi della Storia o della finzione letteraria…Le mie opere si sono ampliate progressivamente e al contempo allontanate. Mio vivo desiderio era quello di analizzare, in modo quanto più aderente possibile al testo, il gesto dello "smascheramento", la sua messinscena, e soprattutto le illusioni che avevano potuto accompagnarlo. Caddi perfino in trappola, facendo di me stesso uno smascheratore di smascheratori. [...]
La ricerca scientifica ha dotato gli uomini di poteri immensi, ma ciò di cui la scienza in ogni caso non ci avverte è che uso convenga fare di tale potere, o da quale uso astenersi. La scienza non è in grado di dirci le motivazioni e gli imperativi morali che dobbiamo rispettare sia nella fase di acquisizione sia in quella di applicazione del sapere scientifico. Forse un giorno ci sarà uno scienziato che sulla base delle sue sole convinzioni personali ce lo comunicherà, ma in tal caso non sarà il sapere scientifico in toto a mettercene al corrente. Il concetto di "prossimo", per esempio, e l´imperativo di rispetto del prossimo non sono un prodotto della scienza, in quanto essa ci riporta unicamente dati di fatto, quantificati e verificati. Di conseguenza, l´imperativo del rispetto del prossimo assume tanta più importanza in quanto non è garantito da alcuna prova "oggettiva". Per ciò che concerne l´acquisizione del sapere e la sua applicazione, non deve essere lecito dichiarare «Faciamus experimentum in anima vili». Queste parole, presenti in un racconto del XVII secolo, sono proferite da un medico privo di scrupoli in un ospedale dove si curavano i poveri. L´umanista Muret, dopo averle ascoltate, esclamò: «Come se fosse stata miserabile l´anima per la quale Cristo non si è sdegnato di morire!». Queste parole non erano dettate dal sapere scientifico, perché la scienza stessa non ha argomenti per vietare l´abuso del suo potere. Conosco l´esclamazione di Muret perché Diderot, non credente, le cita a due riprese nei suoi scritti. Non resta che auspicare che siano quelle a costituire il punto di convergenza tra coloro che credono che Cristo è morto per tutti gli uomini e coloro che stimano che la Terra è in ogni caso il nostro solo e unico paradiso." (da Jean Starobinski, Medicine per l’anima. Se le persone contano più dei farmaci, "La Repubblica", 08/07/'09)

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Perche non:)

Anonimo ha detto...

leggere l'intero blog, pretty good

Anonimo ha detto...

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