mercoledì 29 luglio 2009

Viaggio nell'ignoto


"[...] Da ragazzo, tra le mie letture preferite c'era una serie di racconti biografici, romanzati, dedicati all'infanzia, di vari americani celebri, per lo più maschi: Washington, Jefferson, Henry Ford, Thomas Edison. Un aspetto ricorrente di queste storie è il racconto di lunghe camminate che questi personaggi avrebero compiuto nei primi anni della loro vita in compagnia di un intimo amico, di un simpatico ragazzo indiano o di uno schiavo devoto, in zone inesplorate e selvagge: in altri termini, nei mondi inesplorati dell'infanzia, fuori dalla portata e dal controllo degli adulti. Benché pe rme il mondo inesplorato, da immenso che era, fosse ormai ridotto a una piccola area verde, e benché tante cose siano cambiate per il mondo infantile, dai tempi in cui un giovanissimo George Washington viveva le sue avventure in riva al Potomak, rimaneva un legame, un filo conduttore tra quell'esperienza e le mie gesta suburbane, sulla riva opposta di quello stesso fiume. Un continuum dell'infanzia, dalla Virginia del XVIII secolo al Maryland del XX, e a ritroso fino a luoghi immaginari dei libri: Narnia, Neverland, Prydain. Si trattava sempre dell'Ignoto, del mondo selvaggio e inesplorato. E quando penso al mondo fantastico e selvaggio dell'infanzia, quello che più mi colpisce oggi è il grado di libertà che i miei genitori mi concedevano. Da allora, nella nostra idea dell'infanzia, è subentrato un cambiamento estremamente significativo e gravissimo. Il Mondo inesplorato dell'infanzia è scomparso. Finiti i tempi dell'avventura. Il Paese in cui regnavano i bambini, dove ogni bambino poteva esiliarsi, per una parte almeno della giornata, dal confinante regno degli adulti, è stato da loro in gran parte avocato, cooptato, fino ad assorbirlo del tutto. Ogni viaggiatore impara presto che esiste un solo modo per conoscre una città, per imprimersi nella mente anche solo in via provvisoria, la sua topografia, per orientarsi nelle sue vie: quella di visitarla da soli, preferibilmente a piedi, fino a perdersi completamente. Nella mia vita sono stato a Chicago una mezza dozzina di volte, sempre per viaggi di lavoro; e tuttora non sono in grado di distinguere North Shore da North Side. Il fatto è che sono stato sempre prelevato in macchina; i monumenti e gli aspetti più notevoli della città mi sono stati illustrati da guide più competenti di me, esperte sia delle meraviglie della città, che dei suoi possibili rischi. Ecco perché per me luoghi come State Street, Halsted Street, The Loop, sono solo un confuso guazzabuglio di fondali o scenari da film, che ho visto scorrere rapidamente dal finestrino di un auto. Non diversamente, noi adulti escogitiamo per i nostri figli un sistema di programmi di accompagnamento porta a porta, pianificando per filo e per segno i mloro incontri, conducendoli in macchina a incontrare i compagni da una casa all'altra; e così facendo togliamo loro ogni possibilità di scoprire gli spazi inesplorati tra un luogo e l'altro. I più fortunati hanno il permesso di giocare nel cortile di casa, ben protetto da recinti o barriere, o addirittura - nei casi estremi - monitorati da un attivo circuito interno. A Berkeley, dove sono andato a vivere con la mia famiglia, ho conosciuto una bimba di nove anni che abitava nella casa accanto alla nostra; dall'altro lato, due portoni più in là, viveva da sempr eun ragazzino della stessa età; ma per quanto coetanei quei due bambini non si erano mai incontrati. Gli spazi liberi, un banco di sabbia, l'alveo di un torrente, un vialetto, un bosco, sono stati soppiantati d aun sistema di prenotazioni presso centri quali Chuck E. Cheese, The Jungle o Discovery Zone: ameni centri di internamento escogitati e pianificati dagli adulti senza lasciare il minimo spazio vuoto, tranne le porte con la scritta: 'Riservato al personale'. Quando vanno a correre sui pattini a rotelle o in bicicletta, i bambini escono di casa corazzati come per una battaglia, e ovviamente scortati dai genitori. Tutto questo ha le sue buone ragioni. Il fatto che i nostri figli crescano blindati, monitorati, protetti da barriere, confinati in zone di sicurezza certificate è in parte il risultato di una mentalità da 'Consumer Reports', dell'ansia per la loro sicurezza, della coscienza dei pericoli incombenti, sempre più diffusa in America. [...] I pericoli che minacciano i nostri figli, un tema ricorrente non solo nella nostra vita, ma anche nell'arte e nella letteratura di questi ultimi vent'anni, sono amplificati dla nostro senso di colpa per tutti i veleni che la nostra geenrazione sta lasciando loro in eredità: la moderna società industriale con tutti i suoi mali, in un mondo di conflitti, minacciato dall'inquinamento radioattivo, dal disastro climatico, dalla mercificazione, dalla sovrappopolazione. Un po' come è avvenuto con gli Indiani quando il senso di colpa nazionale nei loro confronti ci ha indotto a trasformarli in una sorta di oggetto di culto, oggi vediamo i nostri figli come feticci, troppo preziosi per essere esposti a un qualunque rischio, con un atteggiamneto ossesivo e morboso. E una volta creato un feticcio, ecco che il capitalismo interviene e trova il modo di usarlo per incentivare le vendite. Ma ciò che più mi preoccupa è l'impatto che tutto questo rischia di avere sullo sviluppo dell'immaginazione infantile. La libertà di cui ho goduto da ragazzo, oggi sembra inaudita, quasi impensabile. Recentemente, la più piccola delle mie figlie ha imparato, dopo le immancabili e tra grandi risate, ad andare in bicicletta. Ma ai primi attimi di gioia per quella nuova conquista è subentrato poco alla volta un senso di perplessità e did elusione, quando entrambi abbiamo dovuto renderci conto che non c'erano spazi per pedalare. Fin dove avrei potuto lasciarla andare? Potevo azzardarmi a lasciare che i miei figli andassero a giocare fuori all'aperto? All'angolo della destra, a meno di duecento metri da casa nostra, c'è un piccolo negozio di alimentari. Posso dare a mia figlia il permesso di arrivare fin lì da sola con la sua bici, e di vivere un piacere unico come quello di comprarsi un gelato in una calda giornata d'estate, e fermarsi a mangiarlo per strada, sola con i suoi pensieri? La piccola aveva imparato da poco ad andare in bicicletta quando una sera uscimmo insieme dopo cena: lei in sella e io dietro, a distanza di sicurezza. Mentre percorrevamo le belle strade del nostro quartiere in quella limpida sera d'estate, nell'ora che da bambino vivevo come il punto culminante, il momento magico della giornata, mi ha colpito l'assenza di altri bambini: non ne abbiamo incontrato neppure uno. Se anche mi risolvessi a dare a mia figlia il permesso di uscire sola a giocare all'aperto, ormai so che rischierebbe di non trovare nessun compagno di giochi. L'arte è una forma di esplorazione: un po' come salpare da soli verso l'Ignoto, verso i luoghi nons egnati sulle carte geografiche. Se non permettiamo, se non insegniamo ai bambini a cercare l'avventura, a vivere da esploratori, che ne sarà di quei mondi, di quelle storie? E che fine farà la stessa letteratura?" (da Michael Chabon, Viaggio nell'ignoto, "L'Espresso", 24/07/'09; apparso per la prima volta in The New York Review of Books)

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