mercoledì 15 luglio 2009

The Paris Review. Interviste


"Se intervistare è un'arte, dal 1953 la rivista The Paris Review pubblica capolavori. Ritratti a tutto tondo delle più grandi voci della letteratura. Come i sedici contenuti nell'antologia che adesso Fandango pubblica in eclusiva per l'Italia (The Paris Review Interviste v. 1, traduzione di Francesca Valente), di cui anticipiamo alcuni estratti. Da più di mezzo secolo, le firme del magazine americano inseguono gli scrittori nelle stanze da lavoro. Cercando i trucchi del mestiere, i tic, i ricordi. E loro, gli autori, li lasciano fare. Perché il risultato è frutto di una collaborazione: nessun testo è stato mai licenziato senza l'approvazione dell'intervistato. E' così che sono nati incontri memorabili. Come quello del 1958 con Ernest Hemingway, che appare a George Plimpton quasi coinvolto in uno scontro fisico con la scrittura: 'se ne sta lì, nei suoi mocassini sformati di pelle di cudù tutta consunta, e di fronte all'altezza del petto, la macchina da scrivere e il piano di lettura'. Opposta l'immagine di Truman Capote che, ricevendo Pati Hill nella casa gialla di Brooklyn Heights condivisa con il bulldog Bunky, non fa mistero di usare il letto come scrittoio. E via così: la Paris review ha colto in più di mezzo secolo la grazia con cui Borges trattava la propria cecità. Lo humour amaro di Saul Bellow. I ricordi dal fronte di Kurt Vonnegut, interrotti dalla sua tosse da fumatore di lungo corso. E ancora: i giudizi di Dorothy Parker sui colleghi e l'insospettabile leggerezza di Elizabeth Bishop". (da Dario Pappalardo, L'arte di scrivere, "La Repubblica", 15/07/'09)

JORGE LUIS BORGES: "Evito la fantasia, infastidisce i lettori"
GLI INIZI. "Da giovane mi consideravo un poeta. Quindi pensavo: se scriverò un racconto tutti capiranno che sono un semplice outsider, che sto invadendo un territorio proibito. Poi ebbi un incidente. Mi dicevo: 'Forse non potrò più scrivere'. Così pensai di mettermi alla prova scrivendo un articolo o una poesia. Ma pensai anche: ho scritto centinaia di articoli e poesie. Se ora non riuscirò a farlo, saprò subito di essere finito, che nulla ha più senso per me. Allora mi venne l'idea di mettermi alla prova con qualcosa che non avessi mai fatto prima: se non ci fossi riuscito non ci sarebbe non ci sarebbe stato niente di strano ... Perché mai infatti avrei dovuto essere capace di scrivere racconti?".
DOVE SCRIVE. Nel suo ufficio alla Biblioteca Nacional di Buenos Aires, della quale era direttore. Agli angoli diagonalmente opposti della stanza ci sono due grandi librerie girevoli, che contengono libri consultati di frequente, tutti disposti in un ordine preciso e mai spostati per permettere a Borges di riconoscerli da quando ha perso la vista.
LA TECNICA. "Quando ho cominciato a scrivere pensavo che tutto dovesse essere ridefinito dallo scrittore. Per esempio, dire 'la luna' era severamente proibito; bisoganva trovare un aggettivo, un epiteto per la luna. Pensavo di dover esser efantasioso, ora credo che questo infastidiscano il lettore ... Cerco di usare parole comuni, eliminando quelle insolite".
I MAESTRI. "Credo che Mark Twain sia appartenuto alla categoria degli scrittori veramente grandi. Oggi i letterati sembrano trascurare i loro doveri in fatto di epica. La tradizione epica è stat salvata pe ril mondo nientemeno che da Hollywood".

KURT VONNEGUT: "Riparo i racconti come un meccanico"
GLI INIZI. "Ho sempre scritto con facilità. E inoltre, ho imparato a scrivere per i miei coetanei più che per i professori. La maggior parte degli scrittori in erba non aveva interesse a scrivere per i coetanei - e beccarsi i loro cazziatoni".
DOVE SCRIVE. Ovunque purché con pacchetti di sigarette Pall Mall posti accanto alla macchina da scrivere.
LA TECNICA. "E' un problema meccanico. Gran parte del processo di costruzione di uan storia è meccanica pura, ha a che fare, cioè, con i problemi tecnici che devono essere risolti perché la storia funzioni. Per esempio, le storie di cowboy e poliziotti finiscono con una sparatoria, dal momento che le sparatorie sono i meccanismi più credibili per far concludere le storie di quel tipo. Non c'è nulla di simile alla morte per dire quella parola falsa che sempre è frutto di una decisione arbitraria: Fine. Sono un tecnocrate talmente barbaro da esere convinto che si possa armeggiare e rattoppare una storia come si fa con una Ford modello T".
I MAESTRI. "Avevo tentacinque anni quando ho perso la testa per Blake, quaranta quando ho letto Madame Bovary, e prima dei quarantacinque non avevo mai sentito parlare di céline. Fortuna volle che leggessi Angelo, guarda il passato all'età giusta per farlo. A diciotto anni".

1 commento:

Antonio ha detto...

Fantastico libro e fantastico articolo. Lo vado a comprare subito!!!!