lunedì 13 luglio 2009

Poesie di viaggio


"«Ma insomma - si chiedeva nel 1929 Henri Michaux, imbarcato su un transatlantico salpato dall'Olanda e diretto in Sud America - dove è questo viaggio»? Interrogazione geniale, che fa del viaggiare qualcosa di molto più complicato di una semplice faccenda di biglietti, passaporti, contemplazione di bellezze naturali e artistiche, auspicabile ritorno a casa. Michaux ha ben presente la sua meta, che è l'Ecuador. Ma non è il fatto di avere una meta che può mettere il viaggiatore al riparo da ogni insicurezza. Quanto più il suo viaggio è un'esperienza necessaria, e pensata fino alle sue estreme conseguenze, quanto più le distinzioni nette fra l'io che osserva e il mondo osservato vacillano, si fanno problematiche. La geografia diventa una branca della psicologia, e viceversa. E' proprio questo che vuol significare il grande poeta francese quando si chiede, contemplando l'Atlantico dal ponte della nave, dov'è il suo viaggio. E' col medesimo spirito paradossale che Roberto Mussapi ha concepito la sua bella e ricca antologia di Poesie di viaggio, pescando da molte epoche e molte lingue. Un libro che andrebbe letto da capo a fondo, per apprezzarne al meglio la sapienza della costruzione, e che ha l'indubbio merito di confondere le idee, erodere le certezze, generare imprevedibili illuminazioni. Sto descrivendo, me ne rendo conto, una specie di viaggio portatile. E non saprei inventare un complimento migliore per un libro, che sia in versi o in prosa, di questo. Un viaggio che si apre e si chiude nel segno di Ulisse: l'Ulisse di Dante col suo ultimo «folle volo», al quale fa da contrappeso la splendida scena del Libro XXIV dell'Odissea, quando Ulisse, finalmente tornato nel letto nuziale, prima si gode l'amore di Penelope, e poi le racconta i suoi viaggi per filo e per segno, fino all'arrivo del sonno «che scioglie le membra e dissolve le pene del cuore». Mussapi sa bene che, dal punto di vista strettamente storico-critico, il suo è un compito impossibile: non esiste una «poesia di viaggio» come genere a sé, paragonabile per esempio alla poesia d'amore, con la sua tradizione e le sue regole secolari. Il viaggio, semmai, è «un nervo, un cardine dell'esperienza letteraria stessa». Ciò rende superfluo, agli occhi del curatore, l'adozione di un ordine cronologico nella disposizione dei suoi preziosi materiali. Condivido pienamente la scelta: tutte le poesie raccolte sembrano in tal modo alludere simultaneamente a un oggetto inafferrabile, lontano da ogni spazio e da ogni tempo particolari. Riecheggia ancora, al plurale, la domanda di Michaux: il mondo è lì, ma i viaggi dove sono? Di che stoffa sono fatti? Che tipo di consistenza ontologica possiedono?
Proverò ad azzardare una risposta personale a queste sollecitazioni partendo dalla poesia che mi ha più colpito dell'intero libro, l'unica presente di Emily Dickinson. Ironicamente, si tratta di una persona che molto raramente ha varcato la soglia di casa, e che in certi giorni considerava lo spostamento dalla sua stanza al salotto un'impresa degna di Marco Polo. Quello che Emily ci racconta, è una visione, o meglio, una visione che svanisce nella lontananza. «Ieri», davanti agli occhi si dispiegava una meraviglia abbagliante, un «Paradiso». Come una «tenda» di un popolo nomade o di un circo, l'apparizione è sparita dopo aver avvolto i suoi «teli lucenti», e sollevato i pali che li sostenevano. Lo sguardo si perde nella lontananza senza più riuscire a cogliere una traccia o un indizio dello spettacolo («Show» dice il testo originale) svanito nell'indistinto, inghiottito da un simbolico settentrione. Che sublime intuizione, degna di Leopardi e Baudelaire, questa di Emily Dickinson. La realtà è un meraviglioso spettacolo la cui caratteristica principale è quella di sfuggire allo sguardo appena dopo averlo illuso e sedotto. Come una compagnia di saltimbanchi dotati di poteri magici, le apparenze incantevoli fanno fagotto e se ne vanno, osserva Emily, senza un rumore, esattamente come i sogni quando si dissolvono. Dunque, se è vero che noi viaggiamo nel mondo, anche il mondo, a sua volta, viaggia. Si potrebbe arrivare a dire, con quella libertà di pensiero che solo la grande poesia sa donarci, che il mondo è un viaggio. Ed è in questa perenne metamorfosi, in questo transito, in questa universale migrazione che dobbiamo imparare ad abitare." (da Emanuele Trevi, Quante odissee cercando la meta di verso in verso, "TuttoLibri", "La Stampa", 11/07/'09)

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