giovedì 30 luglio 2009

In quel 1981 fiorì la Rosa di Umberto Eco


"Il primo, e più dirompente, effetto del Nome della rosa fu quello di sdoganare il «giallo», traghettandolo trionfalmente nei piani nobili della cultura.
E che di «giallo» si trattasse lo rendeva palese, sia pure con un certo pudore editoriale, il risvolto di copertina della prima edizione: «Difficile da definire ... questo romanzo ... gothic novel, cronaca medievale, romanzo poliziesco ...». Una simile ammissione di colpa impediva che si ripetesse con Eco il giochino che aveva funzionato con Gadda e Sciascia: autori di capolavori polizieschi in nome e per conto dei quali si era deciso che «capolavoro» e «poliziesco» erano aggettivi incompatibili, con conseguente cancellazione del secondo. No. Eco aveva scritto, e lo rivendicava, un romanzo «giallo» di ambientazione storica. Aveva dato al suo protagonista il nome holmesiano di Guglielmo di Baskerville e gli aveva affiancato una spalla, Adso/Watson da Melk. E a pagina 31, esauriti i topoi del manoscritto ritrovato e del memoriale redatto in vecchiaia dal comprimario, metteva in scena Guglielmo con una presentazione del metodo abduttivo (induzione più deduzione, ma sorretta da un quid pluris di improvvisazione e fantasia) ricalcata dallo Zadig di Voltaire.
Grande esempio di onestà letteraria, il rapporto di complicità che Eco instaura immediatamente con il lettore. Ti sto portando nel territorio del mistero, del mistero tradizionale. È la mia prima volta - perché questo è il mio romanzo d’esordio - ma è anche la tua prima volta perché finalmente potrai vantarti in società di aver letto un «giallo» ... Personalmente, non ho mai letto le Postille che compaiono nelle edizioni successive del Nome della rosa: ho sempre preferito abbandonarmi alle suggestioni della memoria, cercare di percorrere sino in fondo quel sentiero di complicità suggerito dall’autore. Sentiero, ovviamente, irto di biforcazioni, come impone la presenza di una Biblioteca governata da un bibliotecario che risponde al nome di Jorge da Burgos ...
Ricordo, per esempio, che in quell’Italia del 1981 (pochi mesi dopo la strage di Bologna; da poco passato il boicottaggio fasullo delle Olimpiadi di Mosca, dove ci presentammo senza maglietta e senza inno nazionale, furbescamente pronti a ramazzar medaglie senza offendere troppo l’alleato americano; i brigatisti rossi che correvano verso la dissoluzione; le radio libere che si trasformavano rapidamente in radio private; i fermenti che agitavano la finanza milanese; i socialisti che prendevano le distanze dal Pci; il «movimento» che si risvegliava dalla sbornia ideologica per consacrarsi a quella alcolica; l’impegno che cedeva al «riflusso» ...) il rapporto fra l’ironico e disincantato Guglielmo e le gerarchie ecclesiastiche, da un lato, e, dall’altro, la tragica figura del dolciniano fra Venanzio mi fecero immediatamente pensare a una metafora del tumultuoso scontro fra i movimentisti del ’77 e il Pci. Al sogno, naufragato nel sangue, della Gerusalemme celeste vagheggiato dagli estremisti eretici contrapposto al pacato, elefantiaco, e (si credeva al tempo) conservativo incedere del pachidermico Partito comunista: Eco non insegnava al Dams di Bologna? E Bologna non era la città del movimento più scatenato e ribaldo, dei cori contro Zangherì-Zangherà, dei giovani artisti che esibivano con sciagurato orgoglio la siringa da sballo?
Però. Però una lettura così orizzontale, oltre a non rendere giustizia alla complessità e al fascino della Rosa, faceva passare in secondo piano la vera intuizione profetica di Eco. E cioè che la partita finale si giocava tra l’oscurantismo e la reazione (Jorge) e lo spirito laico (Guglielmo). Che, nella sua tenace e niente affatto rassegnata fiducia nel progresso, nel disagio manifestato per tutto ciò che sa di reazione, esclusione, conservatorismo, dimostra di essere molto più figlio dello Zenone dell’Opera al nero di Marguerite Yourcenar che - come pure si è detto - di fratello Cadfael di Ellis Peters.
Sta lì il cuore del libro, la scelta del lettore: stai dalla parte del futuro, o rimpiangi i roghi, e magari (Eco non lo dice, ma è facile arrivarci abduttivamente) il passo dell’oca? Ma chi ci andava a pensare, nel 1981? Chi poteva immaginare che il futuro ci avrebbe riservato stragi in nome di Dio, guerre sante, integralismo religioso? Eco, appunto. Il resto è Storia. Un successo planetario (chapeau!), un film lodatissimo, persino un divertente «contro-nome-della-rosa» in cui Loriano Machiavelli, il grande vecchio del poliziesco nazionale, riscrive Eco proclamando Adso colpevole sul campo ...

P.S. Varanasi, inverno 2008. Una piccola libreria sul Ghat 80 della città santa dell’induismo. Chiedo al libraio, per curiosità, se abbia qualche autore italiano. Sorride, e mi porge una copia del Nome della rosa. È in inglese, ma, aggiunge, da qualche parte deve esserci una traduzione in hindi. Gli chiedo se lo abbia letto. «Certo», annuisce, «è un grande libro religioso»." (da Giancarlo De Cataldo, In quel 1981 fiorì la Rosa di Umberto Eco, "La Stampa", 30/07/'09)

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