mercoledì 1 luglio 2009

La chiesa, l’inquisizione e i libri all´indice


"Nella tradizione della chiesa cristiana d´Occidente la condanna dell´errore ha preso il nome latino di una istituzione dell´antica Roma: censura. Non è solo una questione di parole. La lotta contro l´errore, per la Chiesa, ha cessato presto di essere la parola carismatica dell´apostolo che corregge Simon Mago per diventare la funzione di un potere regolato dal diritto. Da correzione fraterna dell´errante si è trasformata in volontà di uniformazione del consenso e domanda di adesione acritica secondo la formula recitata dall´eretico pentito: «Credo quod credit Sancta Mater Ecclesia» (credo quello che crede la santa madre chiesa). Il percorso storico è stato lungo ma lo spirito del dubbio e della disobbedienza è sempre stato identificato col volto di Satana, il tentatore. E col costituirsi della Chiesa come società gerarchica dominata da un potere sacrale accentrato la censura si è esercitata soprattutto contro gli ingegni indocili. La scelta personale ("eresia") fu la colpa da perseguire. Se all´inizio scoprire l´errore e denunciarlo fu il compito di vescovi e concili, l´ascesa del potere papale portò a concentrare la censura delle opinioni e la persecuzione degli eretici nelle mani di corpi specializzati alla esclusiva dipendenza del papato: gli ordini religiosi domenicano e francescano. Dominanti nella predicazione e nell´insegnamento della teologia, i frati furono anche i titolari dell´ufficio dell´inquisizione. Fu così che i roghi di libri aprirono la via ai roghi di uomini.
La "rivoluzione silenziosa" del libro a stampa e quella del movimento luterano portarono a profonde modifiche. Fu allora che il papato accentrò nelle sue mani la censura. Il primo e più celebre degli indici dei libri proibiti fu pubblicato da Papa Paolo IV nel 1559 inaugurando una tradizione destinata a lunga durata. Da allora la censura divenne una funzione ordinaria del potere ecclesiastico che precedette quello statale. Si trattò di un´impresa gigantesca: oltre alla propaganda protestante ci si propose di passare al setaccio tutta la produzione libraria antica e moderna. L´esito fu micidiale per l´attività intellettuale e per l´editoria (quella veneziana perse la sua egemonia europea). Era un esito obbligato per un sistema teocratico: nella Ginevra calvinista, per salvare affari e religione, si ricorse all´astuzia di far pubblicare i testi pagani "licenziosi" sotto il falso luogo di stampa di Lione. Nel mondo cattolico italiano i libri pericolosi furono distrutti (Machiavelli) o "espurgati" (Boccaccio). Ci furono autori di pasquinate anticlericali che pagarono la satira con la vita. Al popolo, considerato come un gregge da mantenere docile o come un fanciullo destinato a non diventare mai adulto, si fornì una cultura premasticata e innocua. L´autodenunzia di Torquato Tasso, il rogo di Giordano Bruno, il processo a Galileo, sono gli episodi più celebri della svolta dell´attività intellettuale in Italia verso l´età dell´autocensura preventiva e dell´ossequio cortigiano. Mentre la migliore cultura italiana trovava ospitalità fuori d´Italia, si svolse il lavoro assiduo dei laboratori della censura accentrati nella Roma papale: la Congregazione cardinalizia dell´Inquisizione (creata nel 1542) e la Congregazione dell´Indice (1571) hanno accompagnato la cultura cattolica e in modo speciale quella italiana fino al secolo XX inoltrato. Oggi la loro eredità sopravvive nell´opera della Congregazione Vaticana per la Dottrina della Fede." (da Adriano Prosperi, La chiesa, l’inquisizione e i libri all´indice, "La Repubblica", 30/06/'09)

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