venerdì 3 luglio 2009

Perché scrittori quali Virginia Woolf e Baudelaire, Nabokov e Pasolini hanno vissuto l´arte come maledizione


"Il titolo - Anime estreme - mi attira. In più in copertina c´è il volto della mia amata Virginia Woolf. Apro il libro di Manuela Maddamma (Vallecchi) con curiosità. A volte i libri mi vengono incontro così, per imprevedibili itinerari. A volte capita, per via di mistiche congiunzioni astrali, che finisca sul mio tavolo un libro che non ho cercato e ora è lì. E si impone. Questo definisco "mistico" - la scoperta che segretamente quel libro si intona e si accompagna con l´altro che sto leggendo, e ho cercato. E in un certo senso me ne dà la chiave. E mi aiuta a dipanare il pensiero che in quel preciso momento mi domina. Succede.
Stavo leggendo Louise Bourgeois, gli scritti e interviste che Marie-Laure Bernadac e Hans-Ulrich Obrist hanno con amorevole cura raccolto in volume, e Marcella Majnoni e Giuseppe Lucchesini con grande perizia tradotto per Quodlibet. Anche in questo caso, lo confesso, mi aveva affascinato il titolo che recita: Distruzione del padre. Ricostruzione del padre, Scritti e Interviste 1923-2000.
Non che Manuela Maddamma parli di lei, di quella grande artista che è Louise Bourgeois, ma potrebbe averlo fatto, chissà forse in futuro lo farà. Perché Louise Bourgeois ha senz´altro un´anima, ed è senz´altro estrema. "Estrema" è un aggettivo che mi piace, un aggettivo che dona al sostantivo a cui si lega una particolare intensità. Perfino lo sport, se estremo, acquista una carica eroica. È in questa tonalità che lo riprende Manuela Maddamma, quando riflette sugli aspetti mistici e religiosi dell´opera della beneamata Cristina Campo; o quando legge l´adorata Virginia Woolf, insieme con la sublime Anne Sexton e la più giovane Sarah Kane - tre donne artiste assai diverse, ma senz´altro unite da un fervore speciale, da uno slancio creativo che le rende acrobate capaci del salto estremo, se così si può definire il suicidio: un salto verso l´aldilà a venire, quasi una fame le spingesse a conoscere anzitempo quell´ignoto. Slancio estremo, ripeto, in cui si esprime il loro proprio élan vital. Naturalmente, v´è un che di romantico nel fascino che si prova davanti a vite estreme. Ma a me non disturba, un certo romanticismo di questi tempi bui. E neppure il culto della personalità - quando lo si tributi a questi che sono senz´altro geni, super-uomini e super-donne, che sanno vivere la propria esistenza a tale grado di calore. Nel libro di Maddamma si chiamano Kawabata, Pasolini, Nabokov, August Strindberg Maurice Sachs, Baudelaire. Più semplicemente, li potremmo chiamare artisti, e proprio in quanto impegnati nell´atto della creazione, esposti alla sua maledizione. O al suo privilegio. «Quel che mi ha motivato, e mi motiva, è la consapevolezza che essere artisti è un privilegio», afferma Bourgeois in conversazione con Robert Storr, il curatore del Museum of Modern Art di New York. Bourgeois non ha nessuna idea "romantica" del suo dono. Sì, è una maledizione, perché "sequestra" la vita. Ma è anche, insiste, una benedizione, una consolazione. «Quello che faccio», osserva, «mi costa fatica». E ha molto a che fare «con la mia capacità di sopportare le privazioni». E parla piuttosto di "disciplina". «Si è forgiati da ciò cui si resiste e dai fallimenti». Pensiero che l´avvicina a Virginia Woolf, quando si chiede: io sono io per tutto quello che ho fatto e mi è riuscito? O per tutto ciò che ho provato a fare, e non mi è riuscito? E inclina piuttosto per la seconda ipotesi.
Creare espone a questo salto nel buio. Creare non è sistemare in buon ordine tutto quel che ci riesce di fare e farlo al meglio. Non è quell´attività di bricoleur o bricoleuse che pure dà tanta soddisfazione, e con cui si soddisfano in molti sedicenti artisti. È piuttosto la "capacità negativa" di keatsiana memoria di incontrare il punto vuoto della propria capacità. Direi, della capacità umana.
Louise Bourgeois lo formula così: «Voglio essere padrona dei miei guai». Addirittura misura la propria crescita di artista in questi termini: «Il mio lavoro giovanile è paura di cadere. Poi è diventata l´arte di cadere. Cadere senza farsi male. Infine l´arte di non mollare». Affermazione che acquista tanto più valore, se messa accanto a un´altra dichiarazione: «Una donna non ha spazio come artista finché non ha ripetutamente dimostrato che non si lascerà eliminare». Quanto al padre, alla sua distruzione e ricostruzione, accennate nel titolo, c´entra con quel che muove la figlia Louise al suo destino? C´entra, io credo, con la confessione di Louise quando rivela: «Rompo tutto quello che tocco perché sono violenta», «rompo le cose perché ho paura e passo il tempo a ripararle». Oppure quando dice: «Sono sadica perché ho paura». Ha questo titolo - La distruzione del padre - un´opera di Louise Bourgeois del 1974. Un´opera che lei stessa definisce «molto cruenta», un gesto di "rivolta" contro chi ama di più. Vi campeggiano il tavolo da pranzo e il letto. Il letto dove si è nati, dove si muore. E il tavolo dove i genitori tormentano i figli perché mangino. Finché i figli si arrabbiano, prendono il padre, lo stendono sulla tavola, lo spezzano, lo smembrano, lo divorano. La ricostruzione del padre, per quanto io sappia, non allude a un´opera che Louise abbia dedicato al genitore. È forse però il titolo sotto cui potremmo rubricare tutto il suo lavoro, forse la somma totale del suo corpus artistico, che sfocia in un nome, che non è più quello del padre, ma il suo proprio: Louise Bourgeois. Un nome inventato, frutto cioè, dell´invenzione.
Alla figura del padre restauratore di arazzi, l´artista più volte ritorna in questi scritti. Al suo «amore severo». Torna alla madre in un´opera che le è dedicata, She-Fox del 1985, dove rappresenta se stessa come una figurina piccolissima, accoccolata sotto la zampa sinistra della statua in marmo nero. «Quell´esserino sono io», afferma. E continua: tutto quello che faccio è stato ispirato dai miei primi anni di vita. Tutti i miei lavori, tutti i miei soggetti hanno tratto ispirazione dalla mia infanzia. La mia infanzia non ha mai perso la sua magia. Il suo mistero. Il suo dramma. Si riconosce presa nel triangolo famigliare, alla stessa maniera in cui Virginia Woolf - nel suo più bel romanzo, Al Faro - si ritrova posseduta dai fantasmi parentali. È il loro modo di affermare una verità niente affatto regressiva, né tantomeno infantile; e cioè, che la mente nell´atto di creare è sempre nel punto d´inizio. E dunque tutto sempre ricomincia daccapo, e sempre medesimo è il trauma. Il trauma di nascere, il trauma di dare la vita.
Ultimo libro a cadere nella rete di serendipity, nella trama di inattese e piacevoli scoperte di parentele che si sono tessute quasi a mia insaputa intorno al pensiero, o piuttosto alla preoccupazione di come l´anima possa raggiungere stati estremi, è Deliri di Antonella Moscati (Nottetempo). Con intelligenza, ironia e lucidità l´autrice racconta stati d´animo "estremi"; eccessi di sensibilità, scatti di tracotanza che sviluppano in slanci in altezza, cui non può seguire che lo sgomento della caduta. Bellerofonte in groppa a Pègaso e in lotta contro la Chimera è un´immagine che ci offre la filosofa. E noi capiamo: perché chi di noi non l´ha provata quell´ebbrezza dell´ascensione, e il senso di vertigine? Perché tutti abbiamo un´anima. A volte estrema." (da Nadia Fusini, Lo sguardo estremo. Quando creare ci espone al salto nel buio. Perché scrittori quali Virginia Woolf e Baudelaire, Nabokov e Pasolini hanno vissuto l´arte come maledizione, "La Repubblica", 02/07/'09)

Sculpture in the Age of Doubt di Thomas McEvilley (da GoogleBooks)

Fantastic Reality di Mignon Nixon, Louise Bourgeois (da GoogleBooks)

Nessun commento: