sabato 31 ottobre 2009

Zio Valentino per l'Italia con il catalogo sotto braccio


"Ora che i tempi sono cambiati e al posto dell'editore c'è la casa editrice, ora che Bompiani, il mio editore di una volta, non c'è più, a chi parlerò con lo stesso calore del libro che sto scrivendo? È un buon libro? È un libro che richiede qualche ritocco? E in che punto? Si mantiene al livello degli altri libri che ho scritto? E ancora: il mio lavoro, le ore in cui i dubbi e le insicurezze assalgono lo scrittore mentre il suo romanzo si avvia alla pubblicazione, non meritano un po' di entusiasmo, un incoraggiamento e insomma una vera partecipazione? Lo scrittore in questo rapporto con l'editore non è una persona fragile e vulnerabile che ha bisogno di sentimento, di intelligenza, di comprensione, più che di un'accoglienza e di un parere favorevole? Tutte queste cose mi fanno sentire la mancanza di Valentino Bompiani. Ricordo le parole che mi scrisse quando nella primavera del '61 gli inviai la prima parte del libro che stavo scrivendo, quello che poi intitolai Ferito a morte: «Caro La Capria, la prima parte del suo libro mi ha incantato, se la seconda parte sarà della stessa qualità lei avrà scritto un libro importante che potremo sostenere con convinzione. Lo stesso giorno in cui arriverà il dattiloscritto lo passeremo in composizione», eccetera. Non ripeto queste parole di Bompiani per vantarmi, ma per far capire quale era il suo stile. E si può immaginare l'effetto che facevano queste parole a un giovane scrittore ancora sconosciuto? Uno dei più grandi editori italiani scrive al giovane scrittore sconosciuto che è incantato. Si può capire allora come il giovane scrittore si senta carico di energia e sicuro che porterà baldanzosamente a conclusione la seconda parte del suo libro. Questo è capitato a me quando c'era l'editore Valentino Bompiani.
Sì, lo so anch'io che «zio Valentino» aveva il suo caratterino e a volte aveva scatti d'ira memorabili, che però scomparivano con la stessa velocità con cui arrivavano. La sua era stata un'educazione militare, suo padre e la sua tradizione familiare erano improntati al senso del dovere, alla disciplina, all'onore e così via. In questo era un po' ottocentesco. Ma questo suo carattere lo portava a dare generosamente e a pretendere dagli altri la stessa dedizione. Lui poteva essere tenero e rigido, a volte appunto militaresco; più verso se stesso però.
Se non fosse stato così come avrebbe potuto portare a termine, in momenti difficili, in un'Italia ancora sotto i bombardamenti, il Dizionario delle Opere e dei Personaggi? Un'impresa alla quale aveva dato il meglio di sé, impegnandosi a suo rischio e pericolo con le banche, e da lui perseguita con tenacia e coraggio.
Lui per primo si sobbarcava fatiche non lievi, come quando andava in giro per l'Italia per far conoscere ai librai l'importanza di quest'opera che avrebbe dovuto entrare, come effettivamente avvenne, in tutte le famiglie. Mi è difficile immaginare un altro grande editore, Mondadori o Einaudi per esempio, a spasso per l'Italia con il proprio catalogo sotto il braccio. Ma Bompiani era un editore particolare, un editore artigianale, e anche un editore-scrittore che, come disse una volta, scriveva coi libri degli altri il suo libro. E da scrittore capiva i problemi dei suoi scrittori, aveva la capacità di entrare nella loro testa e sapeva perciò come trattare con loro con finezza di sentimento perché «i suoi scrittori erano la sua famiglia». Sapeva anche come sceglierli: quella doppia linea della letteratura italiana, quella degli «scrittori», che va da Savinio a Flaiano da una parte, e quella dei «romanzieri», da Moravia a Brancati a Piovene dall'altra, è ben rappresentata nel suo catalogo. Così come fu tempestiva la sua scelta degli stranieri, da Proust (Un amore di Swann tradotto da Giacomo Debenedetti) a Camus (Lo straniero), che formarono la nostra educazione letteraria e sentimentale. E come era costante Valentino Bompiani e fedele alle amicizie e alle scelte che il suo intuito gli aveva dettato!
Ricordo un periodo molto, molto lungo, di anni, in cui gli avevo detto di non aspettarsi più niente da me perché io per primo non credevo più in me, e io a scrivergli che non avevo più talento e lui a replicare ostinatamente che no, che mi sbagliavo, che attraversavo una crisi che molti scrittori avevano attraversato, che lui credeva nel mio talento e niente e nessuno avrebbero potuto convincerlo del contrario, nemmeno io. Di tutto questo sono grato a Bompiani, e qui non voglio solo tesserne l'elogio, ma solo riconoscergli quel che gli devo e quel che gli è dovuto.
Negli ultimi suoi anni ogni volta che veniva a Roma mi invitava a raggiungerlo in uno dei suoi ristoranti preferiti. Gli piaceva parlare di libri, delle nuove tendenze, degli scrittori più giovani e promettenti, ma sapeva che non avrebbe potuto più pubblicare i loro libri. Aveva liquidato la sua casa editrice e si era ormai voltato da un'altra parte. Aveva più di novant'anni, e mi guardava con l'occhio malinconico di chi ama la vita e sa che presto dovrà lasciarla." (da Raffaele La Capria, Zio Valentino per l'Italia con il catalogo sotto braccio, "TuttoLibri", "La Stampa", 31/10/'09)

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