'La letteratura è una fiammella da tenere
accesa specie in tempi segnati dalla velocità
e dal consumo, dalla fretta e dall’istantaneo.'
"Ho conosciuto Massimo Rizzante all'inizio degli Anni Novanta. Gianni Celati mi aveva parlato di lui. Dopo qualche tempo ricevetti per posta un suo libretto, Il geografo e il viaggiatore, stampato da una piccola tipografia dell'Italia centrale. Un libro sorprendente, dedicato a Italo Calvino e a Celati stesso; un libro di grande intelligenza, scritto in modo cristallino, che era insieme un'autobiografia intellettuale di un lettore accanito, di un poeta e di un flâneur: un «despatrio», andato a Parigi e rimasto lì per un po' di anni a seguire i seminari di Milan Kundera, di cui poi è diventato il traduttore in italiano. Solo anni dopo dopo ho incontrato Rizzante: alto, capelli neri appena stempiati, indossava abiti scuri, come certi artisti visivi. La sua passione per la letteratura è stata per me nel corso del tempo una bussola: indicava a volte il Nord estremo dell'Islanda, a volte il Sud caraibico o il cono meridionale dell'America, a volte l'Est di autori semisconosciuti, da lui compresi come maestri di vita, oltre che di scrittura, da Danilo Kis a Norman Manea. Ho imparato molto dalle conversazioni con lui, anche se adesso che sono trascorsi parecchi anni mi rammarico di non aver parlato di altri autori sconosciuti, oppure dei suoi amici della rivista L’Atelier du Roman, del modo d'incontrarsi, discutere, leggersi a vicenda di questo piccolo gruppo di scrittori, poeti e saggisti. Di quel lavoro intensissimo, di cui la comunità letteraria italiana, tutta rivolta ai premi letterari e alle loro vicende, pronta a beccarsi per un nonnulla, sa poco o niente, c'informa ora un bel libro di Rizzante, Non siamo gli ultimi (Effigie), dal programmatico sottotitolo: «La letteratura tra fine dell’opera e rigenerazione umana». Si tratta della raccolta di saggi, articoli, recensioni, interventi redatti per il trimestrale francese diretto da Lakis Proguidis, riscritti per l'edizione italiana. Non semplici note, ma appassionate e risolutive riflessioni su cosa è oggi la letteratura, quale il suo senso, quale il suo destino, accompagnate da una serie di piccole fotografie degli autori di cui tratta sul margine della pagina, un album visivo, ma anche una scrittura per figure. Rizzante pratica da tempo un'idea di letteratura come «rigenerazione umana»; ovvero, affida alla letteratura non il compito d'intrattenimento, bensì d'essere strumento privilegiato per una politica umana in grado di rifondare la possibilità d'una esperienza vitale; niente a che fare con il neo-umanesimo di tanti, o con il culto del postumano. La letteratura non finisce con i nostri padri e nonni, ma continua con noi, e con chi verrà dopo di noi. Una fiammella importantissima da tenere accesa nel buio lancinante di questo universo caotico e assurdo in cui viviamo. Ci sono pagine del libro dedicate a Coetzee e a Bellow, a Bolano e a Svevo, davvero vertiginose per capacità di penetrazione e per passione di vita, ma soprattutto c'è dentro una polemica continua, e tuttavia mai astiosa, contro il tempo in cui viviamo, segnato dalla velocità e dal consumo, dalla fretta e dall'istantaneo. E' l'eterno presente che ci divora, giorno per giorno, cancellando quel deposito intangibile che è la letteratura stessa, quella del passato come quella del presente. In una bella recensione di Non siamo gli ultimi, che si legge in rete (NazioneIndiana) Gianni Celati parla dell’attuale letteratura industriale come il punto in cui ci si dedica maggiormente al massacro dell'eredità di cui i libri sono portatori. La cultura audiovisiva - televisiva in particolare - congiunta al lavoro dei manager fa dei libri «neutri oggetti di profitto». Rizzante è stato uno dei pochi a percepire attraverso il suo sguardo ampio e cosmopolita quello che stiamo perdendo. Ma il volume, diario autobiografico, contiene anche un'idea importante per il futuro: la letteratura odierna è una letteratura dell'esilio, della diaspora, delle frontiere erranti, una letteratura senza territorio, che prende le distanze dalla prigione dell’attualità e non perde fiducia nel dialogo con il passato e coi morti. Solo in questo modo è vero che oggi coloro che leggono e scrivono non sono gli ultimi, ma dei passeurs, dei passatori, «individui dediti a far passare nuove idee o scoperte» creando tramiti e canali di comunicazione. Qualcosa di superfluo, probabilmente, ma anche d'assolutamente indispensabile. Rizzante è un maestro in questo. Il libro lo racconta pagina dopo pagina." (da Marco Belpoliti, Da Svevo a Bellow le nostre lanterne, "TuttoLibri", "La Stampa", 31/10/'09)
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