"Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo."
"Per l'America del Sud e la Spagna è un modello. 'Uno dei pochi intellettuali capaci di occupare lo spazio pubblico', diceva ieri il quotidiano El Paìs. Ma Carlos Fuentes si sente soprattutto uno scrittore. E lo dimostra il suo modo di raccontare la famiglia. Lo fa nell'ultimo libro, Happy Families, composto da sedici racconti che ha dedicato al tema dei rapporti familiari mostrando come si debba riportare la questione dentro i binari dell'esperienza umana tralasciando ogni speculazione ideologica. Per Fuentes che si è spesso servito del fantastico senza abdicare al ruolo di testimone della totalità storica e culturale ispanoamericana, la famiglia rappresenta una sorta di contenitore tragico, talvolta fortemente imperfetto e per ciò destinato a rendere infelici gli individui, che mette allo scoperto le contraddizioni e le idiosincrasie dei suoi componenti. Tradotti dal Saggiatore con un titolo, Tutte le famiglie felici (Happy Families), che è un esplicito richiamo all'incipit di Anna Karenina ('Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo.'), i racconti sono preceduti da altrettanti cori che legano l'una alle altre le storie, così da dare l'impressione di trovarsi di fronte ad un romanzo polifonico. L'ambientazione è quella del Messico contemporaneo, siamo all'interno dunque di una società estremamente violenta e maschilista, ma il linguaggio è lo stesso della nostra cronaca quotidiana, in una oscillazione costante tra solitudine e morte. La narrazione avviene in prima persona, attraverso lettere, testimonianze, flussi di coscienza, dialoghi, che esemplificano l'impossibilità di liberarsi dalle gabbie di un potere familiare che i suoi protagonisti percepiscono come il fondamento, nei casi peggiori, di ogni loro umano fallimento. 'Nella letteratura - tiene a precisare Fuentes, che tra poco più di un mese compirà ottantun anni - ci sono poche famiglie felici; di solito sono casi di abbandoni e contrasti familiari, e giustamente, perché la letteratura non è fatta per ritrarre la felicità, ma la disgrazia'. [...]" (da Sebastiano Triulzi, Io, Tolstoj e l'inferno familiare, "La Repubblica", 02/10/'09)
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