È in libreria per Passigli la nuova edizione del Gran Rifiuto, il libro di Mario Baudino che racconta una lunga serie di rifiuti editoriali dalla fine del ’700 ai giorni nostri (pubblichiamo qui uno stralcio dell’introduzione). Da Melville a Joyce, da Proust a Kundera, da Kerouac a T. S. Eliot, sono molti i classici che vennero respinti dagli editori. Ma la stessa sorte è toccata a tanti bestseller recenti, da Stephen King a Patricia Cornwell.
"Ci sono infinite ragioni per cui i libri vengono respinti dagli editori. Virginia Woolf, per esempio, si rifiutò di pubblicare l’Ulisse di James Joyce per la Hogarth Press, la casa editrice artigianale fondata col marito Leonard, asserendo di non essere tecnicamente all’altezza di uno sforzo editoriale così importante. Poi, quando il libro - che le era stato caldeggiato da T. S. Eliot, uno dei suoi primi autori - uscì a Parigi per la piccolissima e altrettanto artigianale Shakespeare and Company di Silvia Beach, consegnò ai diari le motivazioni vere. In una nota del ‘22 lo definisce «prolisso, torbido, pretenzioso e plebeo». In una del 16 agosto aggiunge di essere stata «divertita, stimolata e affascinata» fino a una certa scena. «E poi sono rimasta confusa, annoiata, irritata e delusa da questo liceale a disagio che si gratta i foruncoli».
Da allora non è cambiato molto: i libri continuano ad essere accettati e rifiutati per i più svariati motivi. E ogni tanto ne nasce uno scandalo. Ma al di là delle cautele deontologiche, ideologiche e magari penali, sono soprattutto il gusto e la previsione di mercato a influire sui rifiuti editoriali. Per non parlare delle idiosincrasie personali. Gli esempi, proverbiali, non mancano: Stephen King, ad esempio, fu respinto sistematicamente dal ‘67 al ‘73, fino a quando riuscì fortunosamente a pubblicare Carrie imponendo di fatto un nuovo genere. Lo stesso accade a Jack Kerouac per Sulla strada, a Patricia Cornwell per i primi tre romanzi col personaggio della detective Kay Scarpetta. Gli editori non li volevano. E lei, come raccontò in un’intervista, fece un gesto che in genere viene sconsigliato; chiamò l’editor da cui era stata bocciata. «Mi disse che le piacevano sia il mio stile, sia le mie storie, ma che il mio personaggio principale non funzionava. Il suo carattere e il suo modo di atteggiarsi non erano credibili ed era impossibile che convincessero i lettori. Aggiunse che invece le piaceva moltissimo il personaggio di Kay Scarpetta, trovava originali e affascinanti le sue caratteristiche e disse che avrei dovuto darle più spazio. Dopo la chiacchierata mi sono messa a lavorare su una nuova storia che sarebbe diventata poi Post mortem. Da lì, come sapete, non ho più cambiato percorso».
A volte un consiglio, dato magari senza neppure pensarci, può cambiare la vita. A volte tutto si affida al caso. È noto che Harry Potter, il più grande best seller di tutti i tempi, diventò tale dopo la solita trafila di rifiuti editoriali, otto, per l’esattezza. E ce la fece solo perché l’agente letterario scelto da un’ormai disperata Kate Rowling (sull’elenco telefonico in base al nome, Christopher Little, che le suonava bene) fu abbastanza distratto da confondere il dattiloscritto che intendeva sfogliare durante un breve pasto al ristorante con quello della scrittrice, arrivato per posta e dimenticato sulla scrivania. Si mise a leggere aspettando il commensale che era in ritardo, e non riuscì più a smettere. Lo propose subito alla Bloomsbury, una casa editrice raffinata e quotata in Borsa, ma non certo un gigante del mercato; il fondatore, Nigel Newton, prima di prendere una decisione lo fece leggere alla nipotina di sette anni. Pagò un anticipo di 2500 sterline, e stampò poche migliaia di copie. Si era nel ‘97, il libro era Harry Potter e la pietra filosofale. Cominciò a vendere grazie al passa parola, schizzò in alto nel ‘98 e non si fermò più. Proprio il caso Rowling rappresenta una sostanziale novità rispetto al panorama che descrivevo nella prima edizione del Gran Rifiuto, apparsa anni fa per Longanesi. Da allora è mutato anche, in modo impercettibile all’esterno, il rapporto tra autori ed editori. Il «rifiuto» è forse diventato un po’ meno importante: sono cambiate le modalità dell’esordire, ed è indubbiamente più facile trovare una casa editrice per l’opera prima. Aumenta il numero dei titoli pubblicati annualmente, l’editoria ha fame di giovani. Il problema vero sta diventando quello di ottenere che il libro venga anche letto e non faccia un mesto e rapido viaggio dallo scaffale della libreria al macero.
Ma c’è soprattutto la novità clamorosa incarnata da Harry Potter. Ovvero il mega-bestseller, fenomeno del tutto nuovo. Si tratta di un libro che riesce a vendere milioni di copie e a restare in classifica per un periodo lunghissimo, ben oltre l’arco dei dodici mesi. In Italia ne abbiamo avuto almeno uno quando ancora non si era coniata la definizione: Va’ dove ti porta il cuore di Susanna Tamaro. Che dopo il successo enorme con Baldini & Castoldi, volendo cambiare editore, fece sapere di non essere disponibile per chi aveva già rifiutato quelli precedenti. I destinatari di questa piccola rivalsa non erano pochi, perché l’autrice aveva trovato, nella sua fase d’avvicinamento all’editoria e prima di cominciare a pubblicare per Marsilio, molte difficoltà. Si tramanda nell’ambiente che da una importante casa editrice le arrivò una secca lettera firmata dal direttore editoriale. Diceva più o meno così: «Cara signorina, l’unico talento che lei dimostra è la pervicacia nel ritenersi una scrittrice». Pervicacia abbondantemente premiata." (da Mario Baudino, Proust & C. tutti i no degli editori, "La Stampa", 07/10/'09)
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