sabato 24 ottobre 2009

Sono l'ultimo a scendere di Giulio Mozzi


"Giulio Mozzi ha al suo attivo cinque raccolte di novelle, stese nei quindici anni precedenti e in genere accolte con buon successo, cui ora ne aggiunge una sesta. A dire il vero, non si tratta di racconti autonomi, ma piuttosto di pagine di diario, senza alcun carattere di morboso soggettivismo, meglio denominarle quindi, come fa l'Autore, «diario in pubblico». Sono infatti quasi registrazioni quotidiane di quanto è avvenuto a lui, Giulio Mozzi, nome e cognome esibiti allo scoperto, nell'esercizio capillare della sua professione, che è di una sorta di «viaggiatore in letteratura», portato a scorrazzare per la penisola su treni di ogni tipo e ad ogni ora del giorno, quasi per uno sfruttamento sistematico dell'orario ferroviario. Tutto ciò corrispondeva anche alla sostanza dei racconti precedenti, che però si sforzavano di seguire le regole del mestiere, con accurate indagini psicologiche, che oltretutto richiedevano ampio numero di pagine per condurre le opportune analisi, e anche un mascheramento dell'Autore sotto sembianze di personaggi fittizi. Qui invece già il titolo è eloquente, Sono l'ultimo a scendere, con un'ostentazione palese della propria identità anagrafica, e l'accenno a un'occasione appunto di specie logistica. Così è, pur nel rispetto del proprio mondo di affetti e passioni, in questo caso il sunnominato Giulio Mozzi raggiunge una straordinaria immediatezza di espressione che proietta la narrativa verso nuovi lidi. Ovviamente, l'oralità domina queste pagine di diario, ivi compresi spunti dialettali, secondo la buona ricetta neorealista che porta i vari personaggi a parlare nel proprio idioma.
Ma oltre alla chiacchiera spicciola, ognuno di questi squarci di vita in diretta è animato dal ronzio dei telefonini o dall'arrivo degli sms. Ovvero, questa raccolta esemplifica come meglio non si potrebbe una mia ipotesi, che oggi la narrativa debba farsi magra magra per filtrare attraverso la cruna dell'ago fornita dall'informatica, e insomma tradursi in emissioni filiformi, dove trionfa la paratassi, una frase dopo l'altra, una profluvie di «dico io», «dice lui»: se si vuole, la vittoria assoluta del minimalismo.
Tutto questo non è solo un capriccio stilistico, anche se percorso al negativo, verso una totale bocciatura di ogni stilismo, e il raggiungimento di un «livello zero» della scrittura, o addirittura di un sottozero. Il risultato che premia è
che pure validi contenuti umani e psichici così affluiscono abbondantemente,
infilzati in questa specie di spiedo o di spillone con cui Giulio Mozzi trafigge brani palpitanti di verità. C'è un bello scorrere di casi e sentimenti, ci sono le vessazioni inutili di controllori e bigliettai delle ferrovie, o di addetti agli autobus di linea, maleducazioni di compagni di viaggio che urlano nei telefonini, obbligando gli altri a entrare loro malgrado in fatti personali così sfacciatamente ostentati. Ci sono sopraffazioni alle spalle degli extracomunitari, o scoperte improvvise di morti, di dolori, di ingiustizie sociali. E poi, tanta comicità involontaria, tanti piccoli equivoci senza importanza, per dirla con un altro maestro nell'arte dei racconti, Antonio Tabucchi. Ma mentre quest'ultimo arpeggia in genere con proustiana raffinatezza, Mozzi va dritto allo scopo, senza bellurie, con nuda e spietata immediatezza." (da Renato Barilli, Storie ambulanti senza importanza, "TuttoLibri", "La Stampa", 24/10/'09)

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