venerdì 2 luglio 2010

Tutti gli uomini sono bugiardi


"E’ possibile dipingere d’un uomo ormai scomparso, a distanza di anni, un ritratto «sincero, appassionato, fedegno» che poi qualcuno metterà su carta? Anzi, è possibile compiere un’operazione del genere per chiunque, vivo o morto? Alberto Manguel ne dubita al punto tale che su questo interrogativo ha scritto Tutti gli uomini sono bugiardi, il suo ultimo e forse anche primo romanzo proposto ai lettori italiani, che conoscono l’autore attraverso la sua magnifica Storia della lettura oltre a una serie di libretti preziosi, colti e lunatici pubblicati da Nottetempo (Il ritorno è il più recente).
Giovane amico di Borges e suo lettore ad alta voce negli anni della cecità, Manguel non ne è certo un epigono, anche se i libri, in filigrana, spesso rimandano a lui. In questo, lo stesso titolo del romanzo che uno scialbo esule argentino scrisse in carcere tra le torture (e già dovremmo dire: forse scrisse) poi pubblicato in Spagna come un incommensurabile capolavoro, ricorda l’autore di Elogio dell’ombra.
Qui è in gioco un Elogio della menzogna, attribuito a Alejandro Bevilacqua, suicida nella notte che seguì la presentazione dell’opera in una libreria madrilena, e suicida proprio dal balcone di un personaggio che si chiama Alberto Manguel, ospite recalcitrante allora, interlocutore altrettanto poco entusiasta adesso d’un giornalista che vorrebbe scrivere la vera storia dello scomparso.
«Per essere sincero con lei, non ho voluto conoscerlo davvero», è la sua premessa. Bevilacqua era una sorta di logorroico scocciatore, nei giorni madrileni quando il personaggio-Manguel frequentava la comunità degli esuli argentini. Come abbia fatto a scrivere un gran libro - peraltro ora dimenticato - è un mistero.
Tutto qui? Non proprio. Altri dicono di saper benissimo come fece: per esempio il (sedicente) vero autore, che glielo consegnò in una buia cella perché lo portasse in salvo. Altri ancora non conoscono i fatti nei particolari ma sono sicuri che Bevilacqua era un grand’uomo, un vero artista: come la donna che lo amò, trovò il libro in una sacca da viaggio e lo fece pubblicare senza dirgli nulla fin quando non fu pronta la prima copia.
La (allora) giovanissima Andrea ha idee ben precise sia su Bevilacqua sia su Manguel (sul personaggio o sull’autore?). «Alberto Manguel è un imbecille», dice al giornalista. Per lui «nulla è certo a meno che lo legga scritto in un libro». Le voci che raccontano ciascuna la propria verità sono quattro, diverse anche stilisticamente, modulate secondo una propria cifra. C’è persino un testimone morto avvelenato (e anche qui dovremmo aggiungere: forse) che rende la sua deposizione infilandosi nei sogni di qualcuno.
E c’è infine il giornalista cui non resta che giustapporre le versioni e confessare il proprio fallimento.
Di Bevilacqua, del «vero» Bevilacqua, alla fine non sapremo nulla proprio perché sappiamo troppo. In compenso, quello che a tutti gli effetti è un giallo, con un trama che riserva sorprese e colpi di scena, proprio attraverso le «menzogna» ci racconta qualcosa di «vero», che sfugge al forse, all’opinabilità della memoria: sono gli anni della dittatura militare argentina, degli arresti, delle torture, dei desaparecidos. Gli anni, appunto, della menzogna elevataa sistema di vita, di morte e di sopravvivenza. Solo intorno ad essa, suggerisce assai persuasivamente
Tutti gli uomini sono bugiardi, è possibile scrivere." (da Mario Baudino, La menzogna giù dal balcone, "TuttoLibri", "La Stampa", 26/06/'10)

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