venerdì 2 luglio 2010

Punto omega


"È il 2006, e al Museum of Modern Art di New York un uomo assiste, nel buio di un auditorio, alla proiezione di 24 Hour Psycho, una videoinstallazione di Douglas Gordon, in cui il classico, perturbante film di Hitchcock si dilata in un muto, appunto, di 24 ore. Inizia così, e si chiude, il conturbante romanzo di Don DeLillo Punto omega (Einaudi). Il solitario spettatore è un giovane e problematico cineasta, Jim Finley, il quale si propone di registrare un video, con protagonista l’anziano Jichard Elster, personaggio - è il caso a dirlo - con un passato ambiguo e sotto certi aspetti torbido, visto che, consulente del Pentagono, ha sostenuto una parte attiva nell’invasione dell’Iraq.
Da Elster, Finley vorrebbe una vera e propria videoconfessione, che saremmo tentati di definire un videotestamento, un lascito degno di Hitchcock. Elster è, notate, un intellettuale, uno studioso, e questa sua personalità conferirebbe al film un fascino insieme realistico e simbolico, crudamente disinibito. Ma Elster non ne vuol sapere, e i due si trasferiscono in California, nel deserto prossimo a San Diego, parlando quasi ininterrottamente, per lo più seduti sul terrazzo di casa Elster, bevendo, accarezzati dalla brezza.
Elster non crede al valore della parola, poiché «la vita vera non si può ridurre a parole dette o scritte». Ciò che davvero conta è il tempo, inteso come una esistenziale, fondamentale percezione dell’istante, reale e insieme profondamente dimenticato. Nulla meglio del deserto del Sonora può rappresentarlo: si può viverlo e dimenticarlo, se ne può toccare l’estremo, il punto Omega, e qui si definisce la struttura filosofica del romanzo, mutuata dal filosofo francese Teilhard de Chardin, la cui visione religiosa, neotestamentaria, nel segno del Cristo creatore e della visione paolina, postula un fine divino il cui traguardo egli definisce, sinteticamente, «punto omega».
DeLillo manipola così, si sarebbe tentati di dire, il fattore narrativo vero e proprio ma lo trascende, addirittura nella sua quotidianità. Elster lo cita almeno un paio di volte.
Sopravviene, improvvisamente, una giovane donna, figlia di Elster, Jessie, di cui sapremo la tormentata personalità solo quando, inspiegabilmente, scomparirà nel deserto, alla ricerca di se stessa o forse addirittura della morte. Di certo, Jessie entra a far parte della prospettiva filmica del libro, dove la visione e la parola convivono.
Sappiamo da Jessie, diremmo emblematicamente, che ama i vecchi film presentati in tv, dove un uomo accende la sigaretta di una donna. Chiaramente, non meno del padre è un personaggio cinematografico.
No, Elster non si presterà a comparire in un film, e resteranno le domande sulla scomparsa di Jessie. Resteranno, soprattutto, le raffigurazioni di Psycho, il film che ha originato l’incontro tra i due, e che, specularmente, chiuderà il romanzo come lo aveva aperto, con il ritorno di Finley a New York, superato ormai, o più verosimilmente acquisito, introiettato, il punto omega.
Si incontrano lo spazio e il tempo, ma segnatamente la parola, così reale, così effimera, quanto può valere in un romanzo che rimette in gioco l’idea stessa di romanzo." (da Claudio Gorlier, Cercando la vita tra Psycho e il punto omega, "TuttoLibri", "La Stampa", 26/06/'10)

Nessun commento: