martedì 6 luglio 2010

Fiction o non fiction


"Dove sono gli Hemingway e i Mark Twain, i Dickens e i Robert Louis Stevenson, per non parlare dei Tolstoj e dei Balzac, nella narrativa contemporanea? Spuntata in Europa, la domanda rimbalza in America, producendo la risposta: non ci sono. Nella narrativa di oggi non ci sono più gandi scrittori come quelli di una volta perché la letteratura si è trasferita nella saggistica: o perlomeno in nuove forme di espressione letteraria, che non sono 'fiction', come viene chiamata la narrativa nel mondo anglosassone, ma nemmeno somigliano alla tradizionale 'non-fiction'. In altre parole, è morto il romanzo e al suo posto è nato qualcos'altro. Alcuni lo chiamano 'faction': una fiction basata sui fatti. Altri obiettano che non è cambiato niente, perché il romanzo da Omero in poi, sempre cerca e trova il modo di reinventarsi.
Il dibattito si è aperto negli stessi giorni sulle sponde opposte dell'Atlantico. Ha cominciato Geoff Dyer, raffinato romanziere (Amore a Venezia, morte a Varanasi, il suo ultimo romanzo pubblicato in Italia, Einaudi) con un lungo articolo sulle pagine culturali del Guardian di Londra, sostenendo che le grandi storie del nostro tempo, dal terrorismo islamico alle guerre in Iraq e in Afghanistan, hanno trovato scrittori di qualità in grado di raccontarle, ma non nella forma che era lecito aspettarsi: non con il romanzo. Dyer cita in particolare due libri apparsi da poco, The good soldiers di David Finkel e War di Sebastian Junger, opera di giornalisti che hanno trascorso un anno con le truppe americane a Baghdad (il primo) e nella Korengal Valley afghana (il secondo). «A prima vista si tratta di due classici reportage giornalistici», osserva lo scrittore. «Eppure contengono tutti gli elementi di una narrazione drammatica: la guerra, la morte, il coraggio, la paura, l'amicizia, la vergogna, la pietà, l'eroismo, il dolore. Davanti a reportage di questo genere, il romanzo diventa superfluo. Nessun romanziere potrà scrivere un romanzo di guerra, sull'Iraq o sull'Afghanistan, più affascinante di questi due libri». Gli fa eco, sulle colonne del New York Observer, uno dei più importanti giornalisti letterari americani, Lee Siegel. «Il pubblico non parla più di romanzi con la passione e l'entusiasmo di una volta», afferma il critico. «Questa forma creativa, un tempo capace di fare fuocoe fiamme, sembra avere perduto definitivamente la sua forza. La fiction contemporanea è un genere letterario da museo, i cui praticanti sono troppo presi da se stessi per assumere il ruolo di autentici narratori. I grandi narratori di storie della nostra era sono nella non-fiction». Siegel se la prende in particolare con la lista dei «20 scrittori al di sotto dei 40 anni» pubblicata di recente dalla bibbia dell' intellighenzia americana, il settimanale New Yorker: elenco, secondo lui, che deve più al marketing che al talento narrativo. Non è la prima volta, naturalmente, che si discute di "morte del romanzo". Se ne è disquisito a lungo anche in Italia, dopo l'uscita di Gomorra, considerato da molti il miglior esempio di un nuovo tipo di romanzo, sebbene alcuni lo abbiano classificato come un'opera saggistica. Il fenomeno, ha sostenuto nel nostro Paese Vittorio Spinazzola, farebbe parte di una più ampia tendenza: il "nuovo neorealismo" attraverso cui il romanzo riscopre la realtà. Ci sono precedenti illustri, come A sangue freddo, che molti giudicano il vero capolavoro letterario di Truman Capote, di fatto una meticolosa inchiesta giornalistica; e Tom Wolfe, alfiere del "new journalism" americano degli anni Ottanta, ha scritto romanzi come Il falò delle vanità che sono fiction e reportage sociali al tempo stesso. Più recente è il caso di Ryszard Kapuscinski, altro grande giornalista che ha raccontato la realtà - abbellendola un poco, pare - con penna da romanziere.
Ma è davvero morto il romanzo? Lo scrittore Martin Amis lo esclude, accusando quello che definisce "il romanzo non-fiction" di autori come Capote e Norman Mailer di mancare di «senso morale artistico». Secondo Amis, «i fatti non possono essere organizzati in maniera tale da esprimere un punto di vista morale,e senza morale non c'è arte». Geoff Dyer è di diverso parere: «Stiamo andando oltre il romanzo non-fiction, verso territori di narrazione nuovi, inesplorati», di cui in effetti il suo ultimo romanzo può rappresentare un buon modello. E poi ci sono quelli che la pensano come Jamye Byng, editore di Canongate, piccola ma prestigiosa casa editrice indipendente britannica: «Non mi fido di chi annuncia la morte del romanzo. Si continuano a scrivere ottimi libri di fiction, così come ottimi libri di non-fiction. Basta trovarli». Come sa fare lui, che ha pubblicato, tra gli altri, proprio l'ultimo Dyer e Il petalo cremisi e il bianco, il best-seller mondiale di qualche anno fa di Michel Faber, che la critica paragonò con entusiasmo a un classico romanziere dell'Ottocento: Charles Dickens." (da Enrico Franceschini, Fiction o non fiction. Il romanzo ora è diventato un reportage, "La Repubblica", 06/07/'10)

1 commento:

Meg ha detto...

Un tema molto interessante, di cui mi sto occupando per la mia tesi magistrale in Lingue e letterature europpe ed extraeuropee.
Aggiungerei ai "classici" della non-fiction l'argentino Rodolfo Walsh con il suo "Operazione massacro", un'opera d'arte costruita sulla realtà.